venerdì 18 ottobre 2013

In margine alle polemiche suscitate dalle affermazioni di Odifreddi sull'Olocausto. Si deve vietare il negazionismo per legge?

Continua la polemica scatenata dall’articolo del matematico e opinionista Piergiorgio Odifreddi dal titolo "Stabilire la verità storica per legge" per il quale è stato accusato di essere un negazionista dell'Olocausto.

In realtà nell’articolo ci sono solo alcune considerazioni sui funerali negati a Priebke e sul decreto approvato in questi giorni in Senato in cui si equipara a un reato la negazione dell’Olocausto.

In sostanza Odifreddi afferma che la salma di un uomo senza vita è pura cosa inanimata senza nessun valore almeno che non si aderisca alla  visione superstiziosa e magica propagandata con evidente successo dalla Chiesa cattolica e della quale sarebbero succubi gli appartenenti agli opposti fanatismi di destra e di sinistra che si sono scontrati sulla salma di Priebke. 

Quindi sul reato di negazionismo afferma che "affidarsi non alla storia, ma alla legge, per stabilire cosa è successo nel passato è tipico dei sistemi autoritari alla 1984, e non a caso Orwell parla al proposito di psicoreati, perseguiti da una psicopolizia.

Infine conclude l'articolo sottolineando che il Popolo delle Libertà, la Lega, Fratelli d’Italia e il Movimento a 5 Stelle, votano compatti con il Partito Democratico e Sel a proposito della Shoah, perché il fascismo di ieri non fa più paura, e schierarsi contro di esso è vuota demagogia, ma il fascismo di oggi è vivo e vegeto, e combatte la sua battaglia non alle Fosse Ardeatine, ma a Lampedusa.

Ma ciò che ha scatenato la polemica è in particolare la risposta (citata qui) al commento di un lettore, tale Hommequirit, che definisce il processo di Norimberga un’opera di propaganda. Odifreddi si dichiara d’accordo affermando che se la guerra fosse andata diversamente sarebbero stati gli alleati a essere processati per crimini di guerra, quindi prosegue con una dichiarazione che non è apertamente negazionista, ma esprime forti dubbi su quanto “il ministero della propaganda alleata” ci ha presentato come verità storica.

Che se le cose fossero andate diversamente ci sarebbe stata una Norimberga al contrario lo penso anch'io, anche se questo non rende meno efferati i crimini dei nazisti.  

Ma per quanto riguarda le camere a gas, anche se è vero che la storia dei vinti è stata sempre scritta dai vincitori, non si può pensare che siano falsità le testimonianze dei sopravvissuti e avere dei dubbi vuol dire che non si  crede a quanto questi hanno raccontato e si offende la memoria di chi non è tornato.

Purtroppo c'è il rischio che con il tempo i revisionisti prendano campo.

Pertanto occorre tenere viva la memoria di quegli orrori. Come disse Primo Levi "quando non ci saranno più i testimoni diretti di questa tragedia toccherà agli insegnanti e alla società, alle famiglie, ripetere questa storia senza punti interrogativi, perché così è stata".

Eppure già non mancano oggi gli storici negazionisti, come David Irving e Robert Faurisson

Ora ritengo che sostenere certe tesi di fronte all'evidenza di tante testimonianze o è malafede (e in sostanza appoggio delle tesi naziste) o è idiozia. Ma si  deve consentire la libertà di espressione anche agli idioti o si può vietare per legge l'idiozia? Sono solo domande che mi faccio perché non so rispondere. 

Nel 1980 il linguista statunitense Noam Chomsky, sebbene contrario alle tesi esposte, e suscitando molte polemiche, curò la prefazione dell'opera di Faurisson "Tesi difensiva contro coloro che mi accusano di falsificare la storia. La questione delle camere a gas", sostenendo il principio della libertà di espressione di tutti, e quindi anche di Faurisson.

Ritornando a Odifreddi mi sembra inaccettabile anche l’affermazione sull’equiparazione di un defunto a cosa senza valore. Da agnostica ritengo che il rispetto o il non rispetto, a seconda dei casi, nei confronti di una salma non sia per forza connesso alla religione, ma dipenda anche da ben altri fattori. L’umanità seppellisce o brucia i propri morti dal paleolitico, per una credenza magica nell’aldilà, forse, ma anche per rispetto di ciò che i morti hanno rappresentato in vita. La tomba di un defunto, se questi in vita, nel bene o nel male, ha rappresentato un'idea, può divenire anche un luogo che attira seguaci di quell’idea e quindi, anche per motivi di ordine pubblico, non era il caso che Priebke, che non fu un fondatore del nazismo, ma solo uno zelante e convinto esecutore di ordini ( ma non per questo meno responsabile delle sue azioni), venisse sepolto a Roma o nelle vicinanze, meglio non si sapesse dove, meglio in Germania (e mi domando perché i figli non vengano a prenderselo). Una tomba può essere un monumento alla memoria di grandi personaggi del passato (perché infatti il cimitero del Père-Lachaise nel quale sono sepolti molti personaggi illustri è uno dei luoghi più visitati di Parigi?), ma anche ovviamente un ritrovo per nostalgici di idee aberranti.

Non mi piace poi nemmeno la conclusione dell’articolo perché non credo si possa definire fascista chi manifesta una qualche preoccupazione per gli innumerevoli sbarchi di disperati sulle nostre coste (con questo non sono d’accordo neanche con le idee di Grillo sul reato di immigrazione clandestina, che peraltro i fatti hanno dimostrato non servire a niente). Tra costoro ci saranno certamente tanti fascisti e razzisti, ma è certo che ci sono anche persone di sentimenti democratici che tuttavia si pongono il problema di come arginare questo fenomeno.

Credo invece si debba riflettere senza isterismi sull’opportunità di equiparare a un reato la negazione dell’Olocausto, anche se molti paesi hanno norme analoghe. Credo che non serva in primo luogo a sradicare l’idea nazista che purtroppo ha ancora dei seguaci. Inoltre mi domando se si possa avere dei dubbi in materia senza essere nazisti, se si possa ugualmente condannare l’ideologia nazista che sarebbe stata aberrante anche senza le camere a gas. E peraltro non mi risulta che Odifreddi sia diventato fascista o nazista. L’anno scorso aveva scatenato un’altra polemica affermando che le stragi commesse dagli israeliani non sono meno gravi di quelle dei nazisti. Si può non essere d’accordo con affermazioni del genere, ma non è che l’Olocausto impedisca di criticare le azioni di Israele che ha occupato terre che erano di altri innescando in Medioriente uno scontro senza fine.

La XII^ disposizione finale della Costituzione italiana vieta, giustamente, la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista e la legge attuativa (n. 645 del 1952) prevede, sempre giustamente,  la condanna anche per chi pubblicamente esalta esponenti, principi, fatti o metodi del fascismo, oppure le sue finalità antidemocratiche, oppure  idee o metodi razzisti, con pene aggravate se i fatti previsti sono commessi a mezzo stampa. Tuttavia mi chiedo se  manifestare dei dubbi in ordine all'Olocausto sia la stessa cosa che incitare alla violenza e all'odio razziale, o esaltare ideologie aberranti. Ci sono degli storici che hanno manifestato dei dubbi e che ho già definito idioti, ma per questo dovrebbero andare tutti in galera? 

Mi domando se la famosa frase di Voltaire "Non sono d'accordo con te, ma darei la vita per consentirti di esprimere le tue idee" si possa applicare anche a chi manifesta dubbi sull’Olocausto, purché non ne derivi l'esaltazione del nazismo.

A seguito della bagarre Odifreddi pubblica un successivo articolo dal titolo "Cos'è laverità" nel quale si scatena contro i giornalisti che l'hanno criticato, che sarebbero allo stesso livello di gran parte della popolazione italiana che, secondo la recente rilevazione Ocse non arriva al livello minimo di alfabetizzazione per comprendere un testo scritto, e il mitico “popolo della rete” che grida all’untore, e al quale non interessa  verificare cosa una persona possa aver detto, e meno che mai cercare di capirlo, ma interessa solo ripetere ciò che appare nei 150 caratteri che costituiscono ormai il limite massimo dell’attenzione e dell’approfondimento.

I caratteri sono solo 140, ma personalmente ritengo che si possano dire cose sensate anche in pochi caratteri, poi è ovvio che per  approfondire occorra più spazio. E' altresì innegabile che molti si buttano a scrivere senza neanche aver letto, ma non si può generalizzare e parlare di “mitico popolo della rete”, come non si può nemmeno affermare che la maggioranza delle persone sono quasi analfabeti e si formano idee non sui libri di storia ma sui film di Hollywood.

Quel che ho sempre rilevato in Odifreddi, nonostante ne condivida alcune idee sulla religione cattolica e sulle religioni in genere, che non mi portano tuttavia a negare qualsiasi possibilità al di là del puro materialismo accettando acriticamente l’ateismo come fosse una religione, è l’estrema presunzione e arroganza per le quali comunque, devo rilevare, è in buona compagnia. 



lunedì 7 ottobre 2013

Gravity - Perduti nello spazio

Ieri sono andata a vedere Gravity, il film di Alfonso Cuaròn che ha aperto l'ultima mostra del cinema di Venezia riscuotendo ampi consensi.

Nonostante le critiche generalmente positive temevo che fosse un film un po' claustrofobico, con due astronauti, il capo della missione (George Clooney) e un ingegnere biomedico (Sandra Bullock), che, dopo un terribile incidente che ha distrutto una navetta, l'intera stazione spaziale e ucciso tutti i compagni,  fluttuano alla deriva nello spazio con scarse speranze di tornare sulla Terra. Invece mi è piaciuto davvero: 90 minuti di suspense e scene spettacolari. Sicuramente aiuta anche lo schermo grande  e il 3D.  Forse in televisione non farebbe lo stesso effetto. 

Il film è anche  la storia di una rinascita. L'ingegnere bio-medico interpretato dalla Bullock, alla fine rimasta unica superstite, dopo essere riuscita ad aver ragione di tutti gli ostacoli e, contro ogni previsione, a salvarsi, raggiungendo la stazione spaziale cinese (mi ero persa la notizia che anche i cinesi ne hanno una, si chiama Tiangong 1 e  significa "Palazzo del paradiso") e quindi la navetta cargo attraccata alla stazione che la riporterà sulla Terra, comprende che deve lasciarsi indietro il proprio passato traumatico, il proprio lutto, e ricominciare a vivere davvero.  

Nella critica che riporto si parla addirittura di un parto che sarebbe suggerito da "certi palesi rimandi concettuali per immagini" (lo stato fetale della Bullock dentro la capsula, i numerosi "cordoni ombelicali", rappresentati dai cavi che reggono gli astronauti fuori della navetta, la scenografica caduta di detriti che, a contatto con l’atmosfera terrestre, rievocano la folle corsa degli spermatozoi in prossimità dell’atto della fecondazione!), anche se mi pare un po' troppo, ma chissà...  

Per completezza d'informazione c'è  anche da dire che, nonostante il generale apprezzamento della critica,  dal punto di vista scientifico ci sarebbero alcuni madornali errori, come spiega questo articolo

 In ogni caso a prescindere dal fatto che non sono in grado di capire se e quanto gravi siano questi errori, non cambio idea. Un film piace se è in grado di suscitare emozioni e riflessioni.


venerdì 4 ottobre 2013

"Non so niente di te" di Paola Mastrocola - Le pecore, l'economia, il senso della vita.

Non avevo mai letto niente di Paola Mastrocola finché non mi è capitato tra le mani il suo ultimo romanzo, “Non so niente di te”. La lettura del risvolto di copertina dove si parla di un brillante giovane economista che conduce un centinaio di pecore a una conferenza mi ha indotto a  pensare che per lo meno si doveva trattare  di un racconto originale e devo dire che le aspettative non sono andate deluse, anche se lo stile di scrittura talvolta appare un po' trascurato.

Altra cosa abbastanza intrigante il fatto che l’autrice parla di eventi dei nostri giorni come se scrivesse in un tempo futuro, diciamo intorno al 2060. Non si lancia tuttavia a fornirci informazioni circa l’evoluzione degli eventi, ovvero in sostanza a fare previsioni. Abbiamo superato la crisi economica attuale? Probabilmente si; l'Occidente c'è ancora (nel romanzo si parla di Stati Occidentali, ma non so se con questo termine si voglia alludere a un'unione di stati) e ci sono pure gli economisti che sembra continuino a guadagnare discretamente e a essere considerati, ma di come sia il mondo del 2060 l'autrice non ci dice molto se non che la  tecnologia ha continuato a svilupparsi, perché sms e sistemi come Skype sono tanto obsoleti che devono essere spiegati ai lettori, mentre i libri di carta sono ormai una rarità.

Il romanzo può avere più chiavi di lettura.

La primo riguarda i rapporti tra genitori e figli, un'altra, le scelte della vita, un'altra ancora, l'evoluzione della nostra società.

Molto spesso i genitori ripongono eccessive speranze nei figli o, ancora peggio, impongono a questi desideri e interessi che sono loro propri, senza preoccuparsi se i figli desiderino invece altro.   

Il protagonista del romanzo, Filippo Cantirami, detto Fil, sembrerebbe avere davanti a sé la strada spianata; i genitori, il padre avvocato di successo, la madre, arredatrice per diletto, appartengono alla borghesia agiata, pertanto con la possibilità di pagare al figlio gli studi giusti, le specializzazioni all’estero, e poi di instradarlo in un lavoro, anzi di fornirgli ben tre alternative in un momento in cui la maggior parte dei giovani, anche laureati, hanno davanti a sé, sempre che gli vada bene, un lavoro precario chissà per quanti anni.

Il padre ha deciso per il figlio la carriera di economista, tanto che fin da piccolo gli legge gli articoli del “Financial Times” e lo invita a discuterne. Che il figlio possa avere altri interessi non gli viene neanche in mente. Solo la zia Giuliana, detta Giù, una donna un po’ particolare con la quale Fil ha un’intesa speciale, si permette di chiedere “ma sei sicuro, Fil?”, ma poi non ha il coraggio di approfondire.

E Fil si adegua, si iscrive a Economia e poi parte per Oxford a fare un master cui dovrebbe seguire una specializzazione a Stanford, ma dopo qualche tempo comincia a essere insofferente e un giorno, quando gli manca poco alla conclusione del master, decide di abbandonare tutto, ma non ha il coraggio di dirlo ai genitori.  Così fa un patto con l’amico Jeremy: lui andrà a Stanford al posto suo, Fil gli passerà i soldi che gli mandano i genitori per il mantenimento e in cambio Jeremy gli invierà dei resoconti dettagliati della propria vita nel college californiano in modo che Fil possa propinarli ai genitori come suoi. Intanto Fil si è trovato un lavoro da aiuto pastore presso i possedimenti di un duca nei dintorni di Oxford. Ci passerà tre anni, continuando tuttavia a studiare economia, ma per conto suo, leggendo i classici, non solo dell’economia, riflettendo, prendendo appunti, senza però gli obblighi delle lezioni, degli esami, della corsa per primeggiare. Con l'amico Jeremy appronta anche una ricerca sulla crisi dei mercati che è considerata interessante. Ed è per illustrarla che insieme all'amico è invitato in uno dei più prestigiosi collegi di Oxford. Solo che lui se ne dimentica e quando l'amico lo cerca per ricordarglielo lui è con le pecore e non trova altro modo che portarsele dietro. E' così che di fronte all'allibito pubblico in attesa della conferenza irrompono centinaia di pecore. Come nulla fosse Fil si affianca al collega  che ha già preso posto al tavolo della conferenza e inizia a illustrare la ricerca che ha realizzato insieme a lui o, meglio, di cui è stato l'ispiratore. Per caso è presente una sua ex fidanzata che informa la sorella di lui. Da quel momento i genitori che lo credono a specializzarsi negli Stati Uniti e la zia Giuliana con la quale Filippo, detto Fil, ha sempre avuto una particolare intesa, partono alla ricerca del congiunto e del motivo della sua azione, per lo meno stravagante. - Forse una forma di protesta ?-, si chiedono perplessi e preoccupati i genitori. La ricerca li condurrà in pochi giorni da Standford, dove Fil non ha mai vissuto, alla località nei dintorni di Oxford, dove si è fermato negli ultimi tre anni, apprendendo che Fil non ha mai iniziato la specializzazione a Stanford e nemmeno concluso il master a Oxford, ma ha fatto per tre anni l'aiuto pastore, mentre il suo posto a Stanford è stato preso dall'amico, Jeremy. Scopriranno quindi di non sapere nulla di lui. Sono ansiosi comunque di parlargli, di sapere cosa gli sia successo, ma non lo troveranno nemmeno a Oxford, perché, il giorno prima del loro arrivo, Fil è partito per un paesino della Norvegia alla ricerca di una ragazza che ha incontrato per caso una sera e con i genitori si farà vivo solo diverso tempo dopo. In quel minuscolo paese rimarrà per tutta la vita, sposerà la ragazza, avrà un figlio, farà l'impiegato in una ditta di merluzzi, insomma una vita "normale", ben lontana dai desideri e dalle ambizioni che i genitori avevano sognato per lui. Solo alla sua morte, quando al funerale arriveranno dagli Stati Uniti alcuni professori universitari e tra di essi, il vecchio amico Jeremy, si scoprirà che Fil ha continuato a studiare economia e ha anche scritto un libro "Ceiling Theory" che è stato considerato una pietra miliare nel settore.

E cosa dice questa teoria?

In poche parole dice che bisogna mettere un cielo-tetto alla crescita. Non si può continuare così, a dismisura.Le ultime due generazioni sono cresciute meno delle precedenti, anzi l'ultima non cresce perché è partita altissima. È come per i tonni con le acciughe. I tonni devono smettere di mangiare troppe acciughe altrimenti si estingueranno perché non avranno più niente da mangiare. Ogni Stato deve imparare a dire: bene, io sono partito di qui e arrivo fin qui, grazie, mi basta, gli altri arrivino dove possono arrivare, essendo partiti da dove sono partiti. Certo che se partono da più in basso fanno più strada. Se io parto dall'arrivo, sono già arrivato, e quindi di strada non ne faccio, neanche mezzo metro.  Vale per le persone come per gli Stati. Se uno è già arrivato, dove deve andare? Magari si ferma un po'. Magari gli viene voglia di smettere di correre... Arrivare, il segreto sta nel significato etimologico di questo verbo: se uno ha già toccato la riva, ovvio che poi sta fermo. Sono gli altri che navigano ancora a vele spiegate. Fil pensa a una gara di corsa campestre con gli Stati Arrivati che si riposano ai bordi della pista e aspettano che via via arrivino gli altri e tutti si siedano a riposarsi, una specie di Dejuner sull'erba collettivo, planetario. 

E fine della storia!

Infatti se rallentare può essere una scelta nella vita di un individuo non credo si possa applicare agli Stati. Questi se si fermano declinano per sempre o almeno per molti anni o secoli prima che ci possa essere una ripresa. Basti pensare alle antiche civiltà decadute. Probabilmente, è vero, avevano raggiunto il massimo quando altre si affacciavano alla storia con quella voglia di combattere e di conquistare che loro avevano perso. E' nell'ordine naturale delle cose, ma fermarsi conduce inesorabilmente al declino, alla decrescita che non è mai felice. Se pertanto nel 2060 l’Occidente conterà ancora qualcosa non sarà per aver applicato qualcosa di simile alla Ceiling Theorie, salvo che all'improvviso tutta l'umanità non raggiunga un livello di coscienza superiore.

Quanto alle scelte individuali, quella di Fil, ma anche quella di Giuliana, immalinconiscono un po’, sanno di vite irrisolte, di rinunce.

Fil oltre ad avere una mente brillante ama la sua materia, altrimenti perché avrebbe continuato a studiarla? E quindi?

Giuliana a suo tempo ha deciso di non concludere l’università rinunciando alla carriera di architetto per finire a fare la custode in una biblioteca, dove però dal suo gabbiotto gode di una vista spettacolare sulla città, non si è costruita neanche una famiglia, non ha una storia e quando incontra una persona con la quale riconosce una corrispondenza di sentimenti non decide di fermarsi ma si accontenta di andarlo a trovare ogni tanto che, intendiamoci, può essere anche una soluzione ottimale, in sostanza persegue un suo modo “lento” di vivere.

Ma ha senso sprecare il proprio talento per vivere più lentamente, per trovare il tempo di guardare il colore del mare che cambia, e, nei giorni più tersi, riuscire a scorgere persino il polverio di gocce che l'aria alzava dalle onde, un attimo prima di lasciarle andare sugli scogli, magari continuando anche a studiare, riflettere, creare, ma senza fare di ciò il centro della propria vita? E soprattutto è giusto? Certo è anche vero che oggi se ti dedichi a qualcosa, e vuoi avere successo, quel qualcosa ti prende la vita intera e anche questo non è giusto. Bisognerebbe saper trovare un equilibrio, ma non è facile.

La tragedia di Lampedusa

Centinaia di persone incalzate dalla miseria e dalle guerre fuggono credendo di trovare la salvezza e vengono a morire in acque sconosciute. 

Come ha detto il Sindaco di Lampedusa è probabile che  anche in quest'ultima tragedia, la più grande finora verificatasi, ma non la prima, abbia inciso la normativa che ha introdotto il reato di immigrazione clandestina. Alcuni pescherecci avrebbero fatto finta di non vedere per evitare problemi, anche se mi sembra strano che una legge, per quanto iniqua, impedisca di prestare soccorso in caso di emergenza. Però la paura è paura, anche se non tutti, e per fortuna, l'hanno avuta. Poi c'è anche da considerare che i mezzi che dovrebbero pattugliare la zona sono insufficienti.

I continui sbarchi sulle nostre coste di disperati, in fuga non solo dalla miseria ma anche dalle guerre civili che infuriano nei loro paesi di provenienza, sono una vera e propria emergenza umanitaria cui deve far fronte l'Europa tutta e non solo l'Italia anche se gli approdi sono in larga parte italiani. 

Occorre in primo luogo combattere le organizzazioni criminali che organizzano questi viaggi di dannati lucrando sulla loro pelle, anche se queste organizzazioni rappresentano ancora un effetto e non la causa dei problemi che sono da ricondurre allo sfruttamento delle risorse dell'Africa da parte dell'Occidente.

E' certo che se la situazione dei paesi dell'Africa continuerà a essere quella che è, anche per le colpe dell'Occidente, passate e presenti, queste tragedie non avranno mai fine.

Nessuno dovrebbe essere costretto a lasciare il proprio paese, tutti dovrebbero poter vivere dignitosamente a casa propria, salvo decidere di trasferirsi altrove per scelta personale che non dovrebbe ovviamente comportare rischi.

Sarebbe necessario rivedere completamente i rapporti tra gli Stati, pensare a una redistribuzione delle ricchezze, riorganizzare il mondo su basi più eque, ma purtroppo è utopia. 

Per qualche giorno sentiremo frasi di cordoglio, lacrime di coccodrillo da parte di molti, poi la questione uscirà dalle pagine dei giornali e degli altri media, fino alla prossima volta.

venerdì 18 ottobre 2013

In margine alle polemiche suscitate dalle affermazioni di Odifreddi sull'Olocausto. Si deve vietare il negazionismo per legge?

Continua la polemica scatenata dall’articolo del matematico e opinionista Piergiorgio Odifreddi dal titolo "Stabilire la verità storica per legge" per il quale è stato accusato di essere un negazionista dell'Olocausto.

In realtà nell’articolo ci sono solo alcune considerazioni sui funerali negati a Priebke e sul decreto approvato in questi giorni in Senato in cui si equipara a un reato la negazione dell’Olocausto.

In sostanza Odifreddi afferma che la salma di un uomo senza vita è pura cosa inanimata senza nessun valore almeno che non si aderisca alla  visione superstiziosa e magica propagandata con evidente successo dalla Chiesa cattolica e della quale sarebbero succubi gli appartenenti agli opposti fanatismi di destra e di sinistra che si sono scontrati sulla salma di Priebke. 

Quindi sul reato di negazionismo afferma che "affidarsi non alla storia, ma alla legge, per stabilire cosa è successo nel passato è tipico dei sistemi autoritari alla 1984, e non a caso Orwell parla al proposito di psicoreati, perseguiti da una psicopolizia.

Infine conclude l'articolo sottolineando che il Popolo delle Libertà, la Lega, Fratelli d’Italia e il Movimento a 5 Stelle, votano compatti con il Partito Democratico e Sel a proposito della Shoah, perché il fascismo di ieri non fa più paura, e schierarsi contro di esso è vuota demagogia, ma il fascismo di oggi è vivo e vegeto, e combatte la sua battaglia non alle Fosse Ardeatine, ma a Lampedusa.

Ma ciò che ha scatenato la polemica è in particolare la risposta (citata qui) al commento di un lettore, tale Hommequirit, che definisce il processo di Norimberga un’opera di propaganda. Odifreddi si dichiara d’accordo affermando che se la guerra fosse andata diversamente sarebbero stati gli alleati a essere processati per crimini di guerra, quindi prosegue con una dichiarazione che non è apertamente negazionista, ma esprime forti dubbi su quanto “il ministero della propaganda alleata” ci ha presentato come verità storica.

Che se le cose fossero andate diversamente ci sarebbe stata una Norimberga al contrario lo penso anch'io, anche se questo non rende meno efferati i crimini dei nazisti.  

Ma per quanto riguarda le camere a gas, anche se è vero che la storia dei vinti è stata sempre scritta dai vincitori, non si può pensare che siano falsità le testimonianze dei sopravvissuti e avere dei dubbi vuol dire che non si  crede a quanto questi hanno raccontato e si offende la memoria di chi non è tornato.

Purtroppo c'è il rischio che con il tempo i revisionisti prendano campo.

Pertanto occorre tenere viva la memoria di quegli orrori. Come disse Primo Levi "quando non ci saranno più i testimoni diretti di questa tragedia toccherà agli insegnanti e alla società, alle famiglie, ripetere questa storia senza punti interrogativi, perché così è stata".

Eppure già non mancano oggi gli storici negazionisti, come David Irving e Robert Faurisson

Ora ritengo che sostenere certe tesi di fronte all'evidenza di tante testimonianze o è malafede (e in sostanza appoggio delle tesi naziste) o è idiozia. Ma si  deve consentire la libertà di espressione anche agli idioti o si può vietare per legge l'idiozia? Sono solo domande che mi faccio perché non so rispondere. 

Nel 1980 il linguista statunitense Noam Chomsky, sebbene contrario alle tesi esposte, e suscitando molte polemiche, curò la prefazione dell'opera di Faurisson "Tesi difensiva contro coloro che mi accusano di falsificare la storia. La questione delle camere a gas", sostenendo il principio della libertà di espressione di tutti, e quindi anche di Faurisson.

Ritornando a Odifreddi mi sembra inaccettabile anche l’affermazione sull’equiparazione di un defunto a cosa senza valore. Da agnostica ritengo che il rispetto o il non rispetto, a seconda dei casi, nei confronti di una salma non sia per forza connesso alla religione, ma dipenda anche da ben altri fattori. L’umanità seppellisce o brucia i propri morti dal paleolitico, per una credenza magica nell’aldilà, forse, ma anche per rispetto di ciò che i morti hanno rappresentato in vita. La tomba di un defunto, se questi in vita, nel bene o nel male, ha rappresentato un'idea, può divenire anche un luogo che attira seguaci di quell’idea e quindi, anche per motivi di ordine pubblico, non era il caso che Priebke, che non fu un fondatore del nazismo, ma solo uno zelante e convinto esecutore di ordini ( ma non per questo meno responsabile delle sue azioni), venisse sepolto a Roma o nelle vicinanze, meglio non si sapesse dove, meglio in Germania (e mi domando perché i figli non vengano a prenderselo). Una tomba può essere un monumento alla memoria di grandi personaggi del passato (perché infatti il cimitero del Père-Lachaise nel quale sono sepolti molti personaggi illustri è uno dei luoghi più visitati di Parigi?), ma anche ovviamente un ritrovo per nostalgici di idee aberranti.

Non mi piace poi nemmeno la conclusione dell’articolo perché non credo si possa definire fascista chi manifesta una qualche preoccupazione per gli innumerevoli sbarchi di disperati sulle nostre coste (con questo non sono d’accordo neanche con le idee di Grillo sul reato di immigrazione clandestina, che peraltro i fatti hanno dimostrato non servire a niente). Tra costoro ci saranno certamente tanti fascisti e razzisti, ma è certo che ci sono anche persone di sentimenti democratici che tuttavia si pongono il problema di come arginare questo fenomeno.

Credo invece si debba riflettere senza isterismi sull’opportunità di equiparare a un reato la negazione dell’Olocausto, anche se molti paesi hanno norme analoghe. Credo che non serva in primo luogo a sradicare l’idea nazista che purtroppo ha ancora dei seguaci. Inoltre mi domando se si possa avere dei dubbi in materia senza essere nazisti, se si possa ugualmente condannare l’ideologia nazista che sarebbe stata aberrante anche senza le camere a gas. E peraltro non mi risulta che Odifreddi sia diventato fascista o nazista. L’anno scorso aveva scatenato un’altra polemica affermando che le stragi commesse dagli israeliani non sono meno gravi di quelle dei nazisti. Si può non essere d’accordo con affermazioni del genere, ma non è che l’Olocausto impedisca di criticare le azioni di Israele che ha occupato terre che erano di altri innescando in Medioriente uno scontro senza fine.

La XII^ disposizione finale della Costituzione italiana vieta, giustamente, la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista e la legge attuativa (n. 645 del 1952) prevede, sempre giustamente,  la condanna anche per chi pubblicamente esalta esponenti, principi, fatti o metodi del fascismo, oppure le sue finalità antidemocratiche, oppure  idee o metodi razzisti, con pene aggravate se i fatti previsti sono commessi a mezzo stampa. Tuttavia mi chiedo se  manifestare dei dubbi in ordine all'Olocausto sia la stessa cosa che incitare alla violenza e all'odio razziale, o esaltare ideologie aberranti. Ci sono degli storici che hanno manifestato dei dubbi e che ho già definito idioti, ma per questo dovrebbero andare tutti in galera? 

Mi domando se la famosa frase di Voltaire "Non sono d'accordo con te, ma darei la vita per consentirti di esprimere le tue idee" si possa applicare anche a chi manifesta dubbi sull’Olocausto, purché non ne derivi l'esaltazione del nazismo.

A seguito della bagarre Odifreddi pubblica un successivo articolo dal titolo "Cos'è laverità" nel quale si scatena contro i giornalisti che l'hanno criticato, che sarebbero allo stesso livello di gran parte della popolazione italiana che, secondo la recente rilevazione Ocse non arriva al livello minimo di alfabetizzazione per comprendere un testo scritto, e il mitico “popolo della rete” che grida all’untore, e al quale non interessa  verificare cosa una persona possa aver detto, e meno che mai cercare di capirlo, ma interessa solo ripetere ciò che appare nei 150 caratteri che costituiscono ormai il limite massimo dell’attenzione e dell’approfondimento.

I caratteri sono solo 140, ma personalmente ritengo che si possano dire cose sensate anche in pochi caratteri, poi è ovvio che per  approfondire occorra più spazio. E' altresì innegabile che molti si buttano a scrivere senza neanche aver letto, ma non si può generalizzare e parlare di “mitico popolo della rete”, come non si può nemmeno affermare che la maggioranza delle persone sono quasi analfabeti e si formano idee non sui libri di storia ma sui film di Hollywood.

Quel che ho sempre rilevato in Odifreddi, nonostante ne condivida alcune idee sulla religione cattolica e sulle religioni in genere, che non mi portano tuttavia a negare qualsiasi possibilità al di là del puro materialismo accettando acriticamente l’ateismo come fosse una religione, è l’estrema presunzione e arroganza per le quali comunque, devo rilevare, è in buona compagnia. 



lunedì 7 ottobre 2013

Gravity - Perduti nello spazio

Ieri sono andata a vedere Gravity, il film di Alfonso Cuaròn che ha aperto l'ultima mostra del cinema di Venezia riscuotendo ampi consensi.

Nonostante le critiche generalmente positive temevo che fosse un film un po' claustrofobico, con due astronauti, il capo della missione (George Clooney) e un ingegnere biomedico (Sandra Bullock), che, dopo un terribile incidente che ha distrutto una navetta, l'intera stazione spaziale e ucciso tutti i compagni,  fluttuano alla deriva nello spazio con scarse speranze di tornare sulla Terra. Invece mi è piaciuto davvero: 90 minuti di suspense e scene spettacolari. Sicuramente aiuta anche lo schermo grande  e il 3D.  Forse in televisione non farebbe lo stesso effetto. 

Il film è anche  la storia di una rinascita. L'ingegnere bio-medico interpretato dalla Bullock, alla fine rimasta unica superstite, dopo essere riuscita ad aver ragione di tutti gli ostacoli e, contro ogni previsione, a salvarsi, raggiungendo la stazione spaziale cinese (mi ero persa la notizia che anche i cinesi ne hanno una, si chiama Tiangong 1 e  significa "Palazzo del paradiso") e quindi la navetta cargo attraccata alla stazione che la riporterà sulla Terra, comprende che deve lasciarsi indietro il proprio passato traumatico, il proprio lutto, e ricominciare a vivere davvero.  

Nella critica che riporto si parla addirittura di un parto che sarebbe suggerito da "certi palesi rimandi concettuali per immagini" (lo stato fetale della Bullock dentro la capsula, i numerosi "cordoni ombelicali", rappresentati dai cavi che reggono gli astronauti fuori della navetta, la scenografica caduta di detriti che, a contatto con l’atmosfera terrestre, rievocano la folle corsa degli spermatozoi in prossimità dell’atto della fecondazione!), anche se mi pare un po' troppo, ma chissà...  

Per completezza d'informazione c'è  anche da dire che, nonostante il generale apprezzamento della critica,  dal punto di vista scientifico ci sarebbero alcuni madornali errori, come spiega questo articolo

 In ogni caso a prescindere dal fatto che non sono in grado di capire se e quanto gravi siano questi errori, non cambio idea. Un film piace se è in grado di suscitare emozioni e riflessioni.


venerdì 4 ottobre 2013

"Non so niente di te" di Paola Mastrocola - Le pecore, l'economia, il senso della vita.

Non avevo mai letto niente di Paola Mastrocola finché non mi è capitato tra le mani il suo ultimo romanzo, “Non so niente di te”. La lettura del risvolto di copertina dove si parla di un brillante giovane economista che conduce un centinaio di pecore a una conferenza mi ha indotto a  pensare che per lo meno si doveva trattare  di un racconto originale e devo dire che le aspettative non sono andate deluse, anche se lo stile di scrittura talvolta appare un po' trascurato.

Altra cosa abbastanza intrigante il fatto che l’autrice parla di eventi dei nostri giorni come se scrivesse in un tempo futuro, diciamo intorno al 2060. Non si lancia tuttavia a fornirci informazioni circa l’evoluzione degli eventi, ovvero in sostanza a fare previsioni. Abbiamo superato la crisi economica attuale? Probabilmente si; l'Occidente c'è ancora (nel romanzo si parla di Stati Occidentali, ma non so se con questo termine si voglia alludere a un'unione di stati) e ci sono pure gli economisti che sembra continuino a guadagnare discretamente e a essere considerati, ma di come sia il mondo del 2060 l'autrice non ci dice molto se non che la  tecnologia ha continuato a svilupparsi, perché sms e sistemi come Skype sono tanto obsoleti che devono essere spiegati ai lettori, mentre i libri di carta sono ormai una rarità.

Il romanzo può avere più chiavi di lettura.

La primo riguarda i rapporti tra genitori e figli, un'altra, le scelte della vita, un'altra ancora, l'evoluzione della nostra società.

Molto spesso i genitori ripongono eccessive speranze nei figli o, ancora peggio, impongono a questi desideri e interessi che sono loro propri, senza preoccuparsi se i figli desiderino invece altro.   

Il protagonista del romanzo, Filippo Cantirami, detto Fil, sembrerebbe avere davanti a sé la strada spianata; i genitori, il padre avvocato di successo, la madre, arredatrice per diletto, appartengono alla borghesia agiata, pertanto con la possibilità di pagare al figlio gli studi giusti, le specializzazioni all’estero, e poi di instradarlo in un lavoro, anzi di fornirgli ben tre alternative in un momento in cui la maggior parte dei giovani, anche laureati, hanno davanti a sé, sempre che gli vada bene, un lavoro precario chissà per quanti anni.

Il padre ha deciso per il figlio la carriera di economista, tanto che fin da piccolo gli legge gli articoli del “Financial Times” e lo invita a discuterne. Che il figlio possa avere altri interessi non gli viene neanche in mente. Solo la zia Giuliana, detta Giù, una donna un po’ particolare con la quale Fil ha un’intesa speciale, si permette di chiedere “ma sei sicuro, Fil?”, ma poi non ha il coraggio di approfondire.

E Fil si adegua, si iscrive a Economia e poi parte per Oxford a fare un master cui dovrebbe seguire una specializzazione a Stanford, ma dopo qualche tempo comincia a essere insofferente e un giorno, quando gli manca poco alla conclusione del master, decide di abbandonare tutto, ma non ha il coraggio di dirlo ai genitori.  Così fa un patto con l’amico Jeremy: lui andrà a Stanford al posto suo, Fil gli passerà i soldi che gli mandano i genitori per il mantenimento e in cambio Jeremy gli invierà dei resoconti dettagliati della propria vita nel college californiano in modo che Fil possa propinarli ai genitori come suoi. Intanto Fil si è trovato un lavoro da aiuto pastore presso i possedimenti di un duca nei dintorni di Oxford. Ci passerà tre anni, continuando tuttavia a studiare economia, ma per conto suo, leggendo i classici, non solo dell’economia, riflettendo, prendendo appunti, senza però gli obblighi delle lezioni, degli esami, della corsa per primeggiare. Con l'amico Jeremy appronta anche una ricerca sulla crisi dei mercati che è considerata interessante. Ed è per illustrarla che insieme all'amico è invitato in uno dei più prestigiosi collegi di Oxford. Solo che lui se ne dimentica e quando l'amico lo cerca per ricordarglielo lui è con le pecore e non trova altro modo che portarsele dietro. E' così che di fronte all'allibito pubblico in attesa della conferenza irrompono centinaia di pecore. Come nulla fosse Fil si affianca al collega  che ha già preso posto al tavolo della conferenza e inizia a illustrare la ricerca che ha realizzato insieme a lui o, meglio, di cui è stato l'ispiratore. Per caso è presente una sua ex fidanzata che informa la sorella di lui. Da quel momento i genitori che lo credono a specializzarsi negli Stati Uniti e la zia Giuliana con la quale Filippo, detto Fil, ha sempre avuto una particolare intesa, partono alla ricerca del congiunto e del motivo della sua azione, per lo meno stravagante. - Forse una forma di protesta ?-, si chiedono perplessi e preoccupati i genitori. La ricerca li condurrà in pochi giorni da Standford, dove Fil non ha mai vissuto, alla località nei dintorni di Oxford, dove si è fermato negli ultimi tre anni, apprendendo che Fil non ha mai iniziato la specializzazione a Stanford e nemmeno concluso il master a Oxford, ma ha fatto per tre anni l'aiuto pastore, mentre il suo posto a Stanford è stato preso dall'amico, Jeremy. Scopriranno quindi di non sapere nulla di lui. Sono ansiosi comunque di parlargli, di sapere cosa gli sia successo, ma non lo troveranno nemmeno a Oxford, perché, il giorno prima del loro arrivo, Fil è partito per un paesino della Norvegia alla ricerca di una ragazza che ha incontrato per caso una sera e con i genitori si farà vivo solo diverso tempo dopo. In quel minuscolo paese rimarrà per tutta la vita, sposerà la ragazza, avrà un figlio, farà l'impiegato in una ditta di merluzzi, insomma una vita "normale", ben lontana dai desideri e dalle ambizioni che i genitori avevano sognato per lui. Solo alla sua morte, quando al funerale arriveranno dagli Stati Uniti alcuni professori universitari e tra di essi, il vecchio amico Jeremy, si scoprirà che Fil ha continuato a studiare economia e ha anche scritto un libro "Ceiling Theory" che è stato considerato una pietra miliare nel settore.

E cosa dice questa teoria?

In poche parole dice che bisogna mettere un cielo-tetto alla crescita. Non si può continuare così, a dismisura.Le ultime due generazioni sono cresciute meno delle precedenti, anzi l'ultima non cresce perché è partita altissima. È come per i tonni con le acciughe. I tonni devono smettere di mangiare troppe acciughe altrimenti si estingueranno perché non avranno più niente da mangiare. Ogni Stato deve imparare a dire: bene, io sono partito di qui e arrivo fin qui, grazie, mi basta, gli altri arrivino dove possono arrivare, essendo partiti da dove sono partiti. Certo che se partono da più in basso fanno più strada. Se io parto dall'arrivo, sono già arrivato, e quindi di strada non ne faccio, neanche mezzo metro.  Vale per le persone come per gli Stati. Se uno è già arrivato, dove deve andare? Magari si ferma un po'. Magari gli viene voglia di smettere di correre... Arrivare, il segreto sta nel significato etimologico di questo verbo: se uno ha già toccato la riva, ovvio che poi sta fermo. Sono gli altri che navigano ancora a vele spiegate. Fil pensa a una gara di corsa campestre con gli Stati Arrivati che si riposano ai bordi della pista e aspettano che via via arrivino gli altri e tutti si siedano a riposarsi, una specie di Dejuner sull'erba collettivo, planetario. 

E fine della storia!

Infatti se rallentare può essere una scelta nella vita di un individuo non credo si possa applicare agli Stati. Questi se si fermano declinano per sempre o almeno per molti anni o secoli prima che ci possa essere una ripresa. Basti pensare alle antiche civiltà decadute. Probabilmente, è vero, avevano raggiunto il massimo quando altre si affacciavano alla storia con quella voglia di combattere e di conquistare che loro avevano perso. E' nell'ordine naturale delle cose, ma fermarsi conduce inesorabilmente al declino, alla decrescita che non è mai felice. Se pertanto nel 2060 l’Occidente conterà ancora qualcosa non sarà per aver applicato qualcosa di simile alla Ceiling Theorie, salvo che all'improvviso tutta l'umanità non raggiunga un livello di coscienza superiore.

Quanto alle scelte individuali, quella di Fil, ma anche quella di Giuliana, immalinconiscono un po’, sanno di vite irrisolte, di rinunce.

Fil oltre ad avere una mente brillante ama la sua materia, altrimenti perché avrebbe continuato a studiarla? E quindi?

Giuliana a suo tempo ha deciso di non concludere l’università rinunciando alla carriera di architetto per finire a fare la custode in una biblioteca, dove però dal suo gabbiotto gode di una vista spettacolare sulla città, non si è costruita neanche una famiglia, non ha una storia e quando incontra una persona con la quale riconosce una corrispondenza di sentimenti non decide di fermarsi ma si accontenta di andarlo a trovare ogni tanto che, intendiamoci, può essere anche una soluzione ottimale, in sostanza persegue un suo modo “lento” di vivere.

Ma ha senso sprecare il proprio talento per vivere più lentamente, per trovare il tempo di guardare il colore del mare che cambia, e, nei giorni più tersi, riuscire a scorgere persino il polverio di gocce che l'aria alzava dalle onde, un attimo prima di lasciarle andare sugli scogli, magari continuando anche a studiare, riflettere, creare, ma senza fare di ciò il centro della propria vita? E soprattutto è giusto? Certo è anche vero che oggi se ti dedichi a qualcosa, e vuoi avere successo, quel qualcosa ti prende la vita intera e anche questo non è giusto. Bisognerebbe saper trovare un equilibrio, ma non è facile.

La tragedia di Lampedusa

Centinaia di persone incalzate dalla miseria e dalle guerre fuggono credendo di trovare la salvezza e vengono a morire in acque sconosciute. 

Come ha detto il Sindaco di Lampedusa è probabile che  anche in quest'ultima tragedia, la più grande finora verificatasi, ma non la prima, abbia inciso la normativa che ha introdotto il reato di immigrazione clandestina. Alcuni pescherecci avrebbero fatto finta di non vedere per evitare problemi, anche se mi sembra strano che una legge, per quanto iniqua, impedisca di prestare soccorso in caso di emergenza. Però la paura è paura, anche se non tutti, e per fortuna, l'hanno avuta. Poi c'è anche da considerare che i mezzi che dovrebbero pattugliare la zona sono insufficienti.

I continui sbarchi sulle nostre coste di disperati, in fuga non solo dalla miseria ma anche dalle guerre civili che infuriano nei loro paesi di provenienza, sono una vera e propria emergenza umanitaria cui deve far fronte l'Europa tutta e non solo l'Italia anche se gli approdi sono in larga parte italiani. 

Occorre in primo luogo combattere le organizzazioni criminali che organizzano questi viaggi di dannati lucrando sulla loro pelle, anche se queste organizzazioni rappresentano ancora un effetto e non la causa dei problemi che sono da ricondurre allo sfruttamento delle risorse dell'Africa da parte dell'Occidente.

E' certo che se la situazione dei paesi dell'Africa continuerà a essere quella che è, anche per le colpe dell'Occidente, passate e presenti, queste tragedie non avranno mai fine.

Nessuno dovrebbe essere costretto a lasciare il proprio paese, tutti dovrebbero poter vivere dignitosamente a casa propria, salvo decidere di trasferirsi altrove per scelta personale che non dovrebbe ovviamente comportare rischi.

Sarebbe necessario rivedere completamente i rapporti tra gli Stati, pensare a una redistribuzione delle ricchezze, riorganizzare il mondo su basi più eque, ma purtroppo è utopia. 

Per qualche giorno sentiremo frasi di cordoglio, lacrime di coccodrillo da parte di molti, poi la questione uscirà dalle pagine dei giornali e degli altri media, fino alla prossima volta.