mercoledì 27 giugno 2012

Il lavoro non è un diritto?


E' dal primo pomeriggio che infuria la polemica sulla dichiarazione del Ministro del Lavoro Fornero al Wall Street Journal. Fornero avrebbe affermato che "Il lavoro non è un diritto" o almeno così è stato riportato.

Non ci sono dubbi che, posta così, la frase contraddice la nostra Costituzione, in particolare il primo comma dell'articolo 1 per il quale "L'Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro" e il primo comma dell’art. 4 per il quale: “La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto.”

Sono partiti pertanto a raffica sui network commenti e polemiche.

Poiché vorrei capire e non perdere tempo in sterili polemiche e in discussioni sul niente sono andata a cercare alla fonte la frase incriminata.

Eccola:

"This reform is a wager on behavior changing in many ways. My big fear is we don't overcome this challenge. Everyone, not just workers, have to understand and change. That includes youth, who need to know a job isn't something you obtain by right but something you conquer, struggle for and for which you may even have to make sacrifices."

Letteralmente "Questa riforma è una scommessa su un comportamento che deve cambiare in molti modi. Il mio grande timore è non superare questa sfida. Tutti, non solo i lavoratori, devono capire che bisogna cambiare. E i giovani devono sapere che un posto di lavoro non è qualcosa che si ottiene di diritto ma qualcosa che devi conquistare, faticare e per il quale potresti dover fare anche dei sacrifici".

Mi domando cosa voglia dire, ammesso che la mia traduzione sia giusta (non sono riuscita a trovare da nessuna parte la traduzione esatta dell'intervista o almeno della frase sopra riportata).

Se il ministro voleva intendere che occorre cambiare atteggiamento e che anche i giovani devono impegnarsi, studiare, faticare, conquistare conoscenze e competenze che permetteranno loro di entrare nel mondo del lavoro, sono d'accordo. Non si può disconoscere che ci sono molti giovani che poco si impegnano nello studio e che se riescono a conquistarsi un posto di lavoro, in genere per meriti altri (politici, clientelari, ecc.) continuano a impegnarsi il meno possibile, e spesso si dimostrano anche arroganti. Così danneggiano l'intera società.

Non si deve dimenticare che il lavoro è un diritto ma anche un dovere e che tutti devono impegnarsi nei limiti delle proprie possibilità. Ci sono persone dotate che impegnandosi potrebbero raggiungere i vertici della società, altre che lo sono meno ma che comunque hanno diritto a una vita dignitosa. Le une e le altre hanno comunque il dovere di impegnarsi.

L'art. 4 della Costituzione dice infatti al primo comma che "La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto" e al secondo comma che "ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società.    

Concordo con la necessità di cambiare mentalità. Tuttavia finché la casta continuerà ad alimentare se stessa e a offrire il massimo ai propri, indipendentemente dai meriti, mentre chi merita veramente è costretto ad andarsene all'estero, e non per fare un'esperienza, oppure deve accontentarsi di lavoretti sottopagati, allora le parole della Fornero suonano come una presa in giro.

E una realtà di questo tipo non è certamente stimolante anche se è comunque sbagliato utilizzarla come scusa per non impegnarsi.


sabato 9 giugno 2012

Donne e carriera


A giorni sarà nelle librerie, Donne&Carriera (Hoepli edit.), di Heather McGregor, amministratore delegato di una delle principali agenzie di selezione dei manager di Londra, ma anche felicemente sposata e madre di tre figli. Qui si può leggere un distillato dei suoi consigli.
Personalmente concordo con i consigli della Mc Gregor, in particolare quando dice che le donne devono cercare di costruirsi una rete di relazioni come sanno fare benissimo gli uomini, cercando di essere meno competitive l’una con l’altra. Credo che se la società è ancora maschilista, ciò dipenda in larga parte dalle donne, anche perché si odiano tra di loro. Fanno qualche alleanza, ma di breve durata, poi tornano a scannarsi, come in passato si scannavano per la conquista del maschio dominante, e magari continuano a fare anche quello.  Del resto si parla di fraternità, sorellità non esiste. Certo anche gli uomini si odiano, spesso per la carriera, talvolta per altre questioni, ma generalmente non sono mai così plateali e ridicoli.

Poi ci sono ancora troppe donne che se fanno carriera la fanno attraverso un uomo e non importa specificare come. Già perché oggi certe donne non si accontentano più dei gioielli, dell'appartamentino, della vacanza, no, vogliono pure fare carriera, spesso a scapito di chi un certo risultato lo ha raggiunto con le proprie capacità. Sarebbero da prendere a calci in culo o almeno da isolare, ma non mi pare che ciò avvenga.

Inoltre le donne sono ancora troppo piene di sensi di colpa nei confronti dei figli e soprattutto non sanno imporre al partner l'assunzione di pari compiti nella gestione della casa, dei figli e di tutte le attività di cura che purtroppo in Italia sono ancora in gran parte a carico delle famiglie. Si assumono mille compiti e li svolgono tutti male, poi si rifugiano nel vittimismo e danno la colpa alla società maschilista. Ma rimarcare continuamente il proprio genere e le difficoltà connesse è un errore molto grave. Anche festeggiare l'8 marzo, chiedere le "quote rosa", parlare di pari opportunità, di bilanci di genere e via elencando sono altrettanti errori che continuano a rafforzare quella barriera invisibile, il cosiddetto "soffitto di cristallo", che, a mio parere, è soprattutto nella mente delle donne.

Speravo che la situazione sarebbe cambiata con le nuove generazioni. Invece no, anche le nuove generazioni di donne continuano a esprimersi in termini di genere, a lamentarsi, a sentirsi in colpa nei confronti dei figli, a non imporre agli uomini la metà del lavoro domestico e delle attività di cura, e a parlare di discriminazione da parte della società maschilista. Ma il potere si conquista, non si aspetta che qualcuno ce lo conceda.

E poi ancora una cosa ho notato nelle nuove generazioni di donne in "carriera", gentilissime con chi devono esserlo, stronze e aggressive con gli altri, carine, vestite a modo, mai una parolaccia, un gesto di rabbia, e neanche una risata, tutte manifestazioni esteriori di poca creatività, di poche idee brillanti, non leader, ma "yeswoman", cloni, caricature della donna in carriera.  

Poi sono anche del parere che la carriera non sia obbligatoria, che l'importante è svolgere un lavoro che piace, in cui ci si realizza. Se si parte da questo, dall'interesse, dalla passione, poi forse vengono anche le idee e con esse i risultati e magari una brillante carriera.

mercoledì 27 giugno 2012

Il lavoro non è un diritto?


E' dal primo pomeriggio che infuria la polemica sulla dichiarazione del Ministro del Lavoro Fornero al Wall Street Journal. Fornero avrebbe affermato che "Il lavoro non è un diritto" o almeno così è stato riportato.

Non ci sono dubbi che, posta così, la frase contraddice la nostra Costituzione, in particolare il primo comma dell'articolo 1 per il quale "L'Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro" e il primo comma dell’art. 4 per il quale: “La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto.”

Sono partiti pertanto a raffica sui network commenti e polemiche.

Poiché vorrei capire e non perdere tempo in sterili polemiche e in discussioni sul niente sono andata a cercare alla fonte la frase incriminata.

Eccola:

"This reform is a wager on behavior changing in many ways. My big fear is we don't overcome this challenge. Everyone, not just workers, have to understand and change. That includes youth, who need to know a job isn't something you obtain by right but something you conquer, struggle for and for which you may even have to make sacrifices."

Letteralmente "Questa riforma è una scommessa su un comportamento che deve cambiare in molti modi. Il mio grande timore è non superare questa sfida. Tutti, non solo i lavoratori, devono capire che bisogna cambiare. E i giovani devono sapere che un posto di lavoro non è qualcosa che si ottiene di diritto ma qualcosa che devi conquistare, faticare e per il quale potresti dover fare anche dei sacrifici".

Mi domando cosa voglia dire, ammesso che la mia traduzione sia giusta (non sono riuscita a trovare da nessuna parte la traduzione esatta dell'intervista o almeno della frase sopra riportata).

Se il ministro voleva intendere che occorre cambiare atteggiamento e che anche i giovani devono impegnarsi, studiare, faticare, conquistare conoscenze e competenze che permetteranno loro di entrare nel mondo del lavoro, sono d'accordo. Non si può disconoscere che ci sono molti giovani che poco si impegnano nello studio e che se riescono a conquistarsi un posto di lavoro, in genere per meriti altri (politici, clientelari, ecc.) continuano a impegnarsi il meno possibile, e spesso si dimostrano anche arroganti. Così danneggiano l'intera società.

Non si deve dimenticare che il lavoro è un diritto ma anche un dovere e che tutti devono impegnarsi nei limiti delle proprie possibilità. Ci sono persone dotate che impegnandosi potrebbero raggiungere i vertici della società, altre che lo sono meno ma che comunque hanno diritto a una vita dignitosa. Le une e le altre hanno comunque il dovere di impegnarsi.

L'art. 4 della Costituzione dice infatti al primo comma che "La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto" e al secondo comma che "ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società.    

Concordo con la necessità di cambiare mentalità. Tuttavia finché la casta continuerà ad alimentare se stessa e a offrire il massimo ai propri, indipendentemente dai meriti, mentre chi merita veramente è costretto ad andarsene all'estero, e non per fare un'esperienza, oppure deve accontentarsi di lavoretti sottopagati, allora le parole della Fornero suonano come una presa in giro.

E una realtà di questo tipo non è certamente stimolante anche se è comunque sbagliato utilizzarla come scusa per non impegnarsi.


sabato 9 giugno 2012

Donne e carriera


A giorni sarà nelle librerie, Donne&Carriera (Hoepli edit.), di Heather McGregor, amministratore delegato di una delle principali agenzie di selezione dei manager di Londra, ma anche felicemente sposata e madre di tre figli. Qui si può leggere un distillato dei suoi consigli.
Personalmente concordo con i consigli della Mc Gregor, in particolare quando dice che le donne devono cercare di costruirsi una rete di relazioni come sanno fare benissimo gli uomini, cercando di essere meno competitive l’una con l’altra. Credo che se la società è ancora maschilista, ciò dipenda in larga parte dalle donne, anche perché si odiano tra di loro. Fanno qualche alleanza, ma di breve durata, poi tornano a scannarsi, come in passato si scannavano per la conquista del maschio dominante, e magari continuano a fare anche quello.  Del resto si parla di fraternità, sorellità non esiste. Certo anche gli uomini si odiano, spesso per la carriera, talvolta per altre questioni, ma generalmente non sono mai così plateali e ridicoli.

Poi ci sono ancora troppe donne che se fanno carriera la fanno attraverso un uomo e non importa specificare come. Già perché oggi certe donne non si accontentano più dei gioielli, dell'appartamentino, della vacanza, no, vogliono pure fare carriera, spesso a scapito di chi un certo risultato lo ha raggiunto con le proprie capacità. Sarebbero da prendere a calci in culo o almeno da isolare, ma non mi pare che ciò avvenga.

Inoltre le donne sono ancora troppo piene di sensi di colpa nei confronti dei figli e soprattutto non sanno imporre al partner l'assunzione di pari compiti nella gestione della casa, dei figli e di tutte le attività di cura che purtroppo in Italia sono ancora in gran parte a carico delle famiglie. Si assumono mille compiti e li svolgono tutti male, poi si rifugiano nel vittimismo e danno la colpa alla società maschilista. Ma rimarcare continuamente il proprio genere e le difficoltà connesse è un errore molto grave. Anche festeggiare l'8 marzo, chiedere le "quote rosa", parlare di pari opportunità, di bilanci di genere e via elencando sono altrettanti errori che continuano a rafforzare quella barriera invisibile, il cosiddetto "soffitto di cristallo", che, a mio parere, è soprattutto nella mente delle donne.

Speravo che la situazione sarebbe cambiata con le nuove generazioni. Invece no, anche le nuove generazioni di donne continuano a esprimersi in termini di genere, a lamentarsi, a sentirsi in colpa nei confronti dei figli, a non imporre agli uomini la metà del lavoro domestico e delle attività di cura, e a parlare di discriminazione da parte della società maschilista. Ma il potere si conquista, non si aspetta che qualcuno ce lo conceda.

E poi ancora una cosa ho notato nelle nuove generazioni di donne in "carriera", gentilissime con chi devono esserlo, stronze e aggressive con gli altri, carine, vestite a modo, mai una parolaccia, un gesto di rabbia, e neanche una risata, tutte manifestazioni esteriori di poca creatività, di poche idee brillanti, non leader, ma "yeswoman", cloni, caricature della donna in carriera.  

Poi sono anche del parere che la carriera non sia obbligatoria, che l'importante è svolgere un lavoro che piace, in cui ci si realizza. Se si parte da questo, dall'interesse, dalla passione, poi forse vengono anche le idee e con esse i risultati e magari una brillante carriera.