lunedì 30 giugno 2003

Il Padrino





Questa la copertina di "Der Spiegel" del 27.6.2003. Carina. Anche se mi sembra di ricordare che sullo stesso giornale (o era un altro, comunque sempre tedesco) comparve anni fa una copertina dedicata all'Italia con un piatto di spaghetti e la pistola dentro, con l'intento di invitare i tedeschi a escludere l'Italia dalle proprie mete vacanziere, perché vi comandava la Mafia, e magari in parte è vero.


Certamente non abbiamo una buona fama all'estero e il nostro Presidente del Consiglio non ce la migliora certo.

Tuttavia si tratta del nostro premier democraticamente eletto. E chi lo ha votato non credo non sapesse con chi aveva a che fare. Penso che ci sia anche stato qualcuno che lo ha fatto per rabbia nei confronti della gestione del centro sinistra che in sei anni non è riuscito, tra l'altro, a far approvare una legge sul conflitto di interessi che forse avrebbe impedito a Berlusconi di presentarsi alle elezioni. Ma approvarla avrebbe significato, ad esempio, creare problemi a molte amministrazini locali di sinistra o centro-sinistra.

E proprio nelle amministrazioni locali di sinistra accadono cose che come minimo fanno imbestialire chi crede in un modo di lavorare moderno ed efficiente, a cominciare dalla difesa dei lavativi. Da ognuno secondo le proprie capacità e ad ognuno secondo le proprie necessità, era una massima marxista. Con tale principio però nelle pubbliche amministrazioni tutti hanno diritti e nessuno doveri. Non esiste principio di gerarchia e tutti vogliono dire la loro e intanto nessuno lavora.

E poi tutti i democristiani finiti nell'"Ulivo"? Conosco persone cui veniva l'orticaria solo a nominare non dico il comunismo, ma qualsiasi forma di democrazia liberale laica, che sono tutti confluiti nell'"Ulivo".

Passando ad altro, ma sempre in relazione a Sua Emittenza vi invito a leggere l’articolo di Givanni Sartori “Così io ho vissuto il cambio al Corriere” pubblicato sul Corriere della Sera del 27 giugno scorso e riportato nel blog  “Pensare Blu” 

IRAQ: UN DIFFICILE DOPOGUERRA

Dal 1° maggio scorso, giorno in cui il Presidente americano George Bush ha dichiarato la fine della guerra in Iraq, sono già alcune decine i soldati americani caduti sul territorio iracheno, quasi la metà di quelli morti durante il conflitto. Alle perdite americane si aggiungono quelle britanniche: una decina di uomini dalla fine della guerra, di cui sei in un attacco particolarmente violento di cui ancora non è certa la dinamica. Secondo la versione inglese un agguato del tutto ingiustificato, per gli iracheni della zona la risposta a un comportamento provocatorio e violento dei soldati occupanti.

E’ in questo contesto che si trovano ad operare anche i 700 soldati italiani della brigata Garibaldi già arrivati a Nassyria.

Questi eventi drammatici stanno creando non poche difficoltà al premier inglese Blair, che si aggiungono a quelle provocate dal mancato ritrovamento delle armi di distruzione di massa.

Questa situazione di instabilità e di violenza è il prezzo inevitabile da pagare per pacificare un paese che esce da una dittatura sanguinaria oppure conferma l’impossibilità di imporre con la forza la convivenza civile e democratica?

Altre notizie dall’Iraq

Ieri il leader del Congresso nazionale iracheno, Ahmed Chalabi, ai microfoni della televisione statunitense 'Cnn' si e' detto convinto che Saddam Hussein non solo e' vivo, ma coordina gli attacchi della guerriglia contro i militari angloamericani. "Il dittatore, ha spiegato, non aveva un piano militare per fermare gli Stati Uniti, ma si era preparato per il dopoguerra".
E riappare sulla scena, in un'intervista alla televisione del Dubai, l'esponente più celebre del regime di Saddam, Mohamed al Sahaf , ex ministro dell'Informazione, che si è guadagnato il soprannome di “Alì il comico” per avere tra l'altro proclamato la sconfitta delle forze americane mentre i carri armati americani facevano il loro ingresso a Baghdad. Negli Stati Uniti è anche uscita una cassetta con le sue battute più celebri e gli è stato dedicato un  sito.
Qualche giorno fa lo davano per catturato in un sobborgo di Bagdad e condotto chissà dove dalle truppe alleate.
Altri dicevano che era morto e sepolto da tempo.

Ora, l'ennesimo colpo di scena. L'ex ministro dell'Informazione iracheno Mohamed al Sahaf è comparso il 26 giugno alla televisione del Dubai Al Arabiya e ha raccontato di essersi consegnato alle truppe americane in Iraq che lo hanno interrogato prima di rimetterlo in libertà.
Sembra che l'intervista, registrata a Baghdad, contenga “molte informazioni importanti sulla recente guerra e sulla caduta del regime iracheno”.

sabato 21 giugno 2003

Fa sempre più caldo


L’estate dovrebbe cominciare il 21 giugno, ma quest’anno è arrivata con un mese di anticipo.

Per i prossimi giorni si prevede che le temperature raggiungeranno i 40 gradi.

L’anno 2002 è stato il secondo anno più caldo mai registrato (dopo il 1998) e il 2003 sembra intenzionato a superarlo.



Le cronache ricordano un clima particolarmente caldo tra il IX° e il XII° secolo, anche se allora non si registravano le temperature : in Inghilterra si coltiva la vite; i Vichinghi colonizzano la Groenlandia (terra verde) e raggiungono l’America.

Tuttavia gli esperti non hanno dubbi che il riscaldamento del pianeta verificatosi negli ultimi anni sia stato provocato dalle attività umane e in particolare dalle emissioni di gas serra. Non ci sono più dubbi che il pianeta è malato.

Un modo per evitare il disastro c’è: tagliare le emissioni di anidride carbonica investendo sull’energia solare.

Ma a cinque anni dalla firma del Protocollo di Kyoto, che avrebbe dovuto impegnare i Paesi industrializzati e quelli in economia di transizione (cioè l’Est europeo), responsabili di oltre il 70 per cento delle emissioni di gas serra, a ridurle del 5,2 per cento entro il 2012, siamo ancora al semplice e tormentato elenco delle buone intenzioni.

Gli Usa responsabili da soli del 25% dei gas nocivi rifiutano di ratificare il documento, mentre Australia e Russia ci stanno ancora pensando. Ma anche i Paesi che hanno già sottoscritto il protocollo sono lontani dagli impegni presi. Pertanto, se nulla cambierà, secondo l’International energy agency, entro il 2012, le emissioni potrebbero aumentare del 45 per cento.

E proprio in questi giorni si è letto sui giornali che il governo americano avrebbe fatto falsificare ( e ci risiamo con le falsificazioni) un documento sulle conseguenze delle emissioni di gas serra.

Ma rischiare la catastrofe ambientale per ragioni economiche ha un senso? Chi governa non si ricorda mai che di pianeti in cui vivere ne abbiamo uno solo?

venerdì 20 giugno 2003

Aiutiamo gli studenti di Teheran

Moti di piazza a Teheran: da una settimana gli studenti iraniani manifestano contro la dittatura bigotta e sessuofobica degli Imam. Chiedono riforme democratiche e affermano il diritto a esprimere il loro punto di vista e a criticare la guida teocratica del Paese. Le proteste contro il regime sono anche contro le politiche di privatizzazione intraprese dal governo del "riformatore" Khatami in tutti i settori compresa la scuola e l'università; riforme evidentemente dettate dalle politiche neo liberiste care agli Stati Uniti e alle istituzioni monetarie. Agli studenti universitari che sono in lotta contro il regime di Teheran si sono unite le popolazioni di molte città. Più di cento persone sono state arrestate nella capitale iraniana. Ma nonostante la dura repressione la protesta sembra inarrestabile.

Tuttavia nessuno in Occidente ha ancora organizzato almeno una manifestazione di solidarietà per l’Iran libero, e liberato dagli Iraniani e non dal Pentagono.

Anzi, mentre gli studenti iraniani lottano per la libertà di informazione e la democrazia, la stampa internazionale e le sinistre europee sembrano appoggiare il Presidente Khatami. E nella pacifista e democratica Francia sono stati arrestati  165simpatizzanti del movimento iraniano dei Mujaheddin del popolo, accusati di "fomentare il terrorismo". Ma l'accusa corrisponde alla realtà? Intanto, per protesta, cinque simpatizzanti del movimento dei Mujaheddin, a Parigi, Londra e Berna, nelle ultime 24 ore, si sono dati fuoco e una  donna è morta.

Va bene che è caldo e stiamo tutti pensando alle ferie, ma intanto Rumsfeld afferma che in Iran ci sono arsenali nucleari, mentre le proteste sono state strumentalizzate dal governo di Bush e contemporaneamente infangate dall'Ayatollah Khamenei che in un discorso pubblico ha accusato gli studenti di essere ispirati e pagati dagli americani.
E di fronte a tutto ciò, cosa fanno i progressisti italiani ed europei? Intendono stare a guardare, in attesa che piovano le bombe e che arrivino i liberatori a stelle e strisce? Solo quando ciò accadrà si sentiranno ispirati?

Per ora in Iran non c'è la guerra, per quanto venga qua e là ventilata e pertanto  l'interesse non c'è o se c'è è molto tenue.
Ma proprio chi non vuole una “democrazia” imposta con le bombe e un regime imposto dai "liberatori" dovrebbe far sentire oggi la propria voce, dovrebbe incoraggiare le forze del rinnovamento, i riformisti veri, tutti coloro che si battono per far cadere la teocrazia iraniana.

Intanto cosa accade in Iraq?

Per ora non c’è traccia di un governo democratico, laico, federale, multietnico, multiconfessionale, mentre gli americani non sembrano aver propriamente la situazione sotto controllo, come testimoniano i numerosi “incidenti”con morti da entrambe le parti.

Intanto Bush e Blair stanno passando un po’ di guai per aver falsificato le informazioni per attaccare l’Iraq. Ma probabilmente rimarranno in sella, perché anche se hanno detto il falso in paesi in cui non si può mentire nemmeno sulla propria vita privata, lo hanno fatto per un nobile scopo, liberare gli iracheni dal Male.

sabato 14 giugno 2003

REFERENDUM



Domenica 15 e lunedì 16 giugno 2003 si vota per i seguenti Referendum Popolari:

1) Abrogazione delle norme che stabiliscono limiti numerici ed esenzioni per l'applicazione dell'art.18 dello Statuto dei Lavoratori.

L’obiettivo del referendum è l’estensione del diritto al reintegro nel posto di lavoro per i dipendenti licenziati senza giusta causa. Tale diritto, infatti, non è attualmente previsto per i lavoratori delle aziende che occupano meno di 15 dipendenti. Per questi, infatti, la legge stabilisce in caso di licenziamento senza giusta causa solo un risarcimento di carattere economico.

Le ragioni del sì

Chi sostiene il 'sì' al referendum sull’articolo 18 sostiene che il reintegro in caso di licenziamento senza giusta causa è un “diritto di civiltà” che, se vale per i lavoratori di aziende medio-grandi, deve valere anche per quelli delle piccole imprese. In sostanza i promotori vogliono porre fine a quella che viene considerata una “discriminazione” di alcuni lavoratori a vantaggio di altri e limitare anche nelle aziende di piccole dimensioni possibili decisioni arbitrarie dei datori di lavoro sui loro dipendenti. Alle maggiori tutele, secondo i favorevoli, corrispondono anche vantaggi di ordine economico: la non licenziabilità produce stabilità e investimento del singolo nel proprio posto di lavoro.

 

Le ragioni del no

Le piccole imprese – fa notare chi si è schierato per l’astensione, dunque perché non si raggiunga il quorum – sono realtà profondamente diverse dalle aziende medio-grandi, nelle quali è in vigore la norma del reintegro. Così tra i contrari al referendum ci sono sia quelli che vorrebbero rivedere il diritto al reintegro anche nelle imprese con più di 15 dipendenti (come la Confindustria) ma anche quelli (come i Ds) che pur difendendo le norme attuali considerano l’estensione dell’articolo 18 una “rigidità” che rischia di mettere in difficoltà il sistema delle imprese di piccole dimensioni. Per chi è contrario, l’articolo 18 esteso a tutti potrebbe avere effetti controproducenti: per esempio scoraggiare le aziende con meno di 15 dipendenti dal fare nuove assunzioni a tempo indeterminato. E dunque, in linea generale, penalizzare l’occupazione.

 

Le posizioni di partiti e sindacati

 

Sì: Rifondazione comunista, Verdi, Pdci, sinistra Ds, Cgil

Astensione: Cisl, Uil, Margherita, maggioranza Ds, Forza Italia, An, Lega, Udc, Confindustria

2)Abrogazione della servitù coattiva di elettrodotto

L’obiettivo del referendum è rendere più difficile e comunque più “garantito” il passaggio degli elettrodotti sul territorio. L'attuale normativa stabilisce che ogni proprietario è obbligato a dare passaggio sui suoi terreni alle condutture elettriche. Se il 15 giugno si raggiunge il quorum e vincono i 'sì', il cittadino e gli enti locali potranno opporsi e così accedere, con maggiore potere contrattuale, alla trattativa nei confronti delle società che trasportano energia elettrica.

Le ragioni del sì

I promotori sostengono che in questo modo si può frenare l'espansione delle decine di impianti che dopo la liberalizzazione promettono di moltiplicarsi sul territorio. Impianti che – dicono ancora i fautori del 'sì' – mettono a rischio la salute dei cittadini. L’obiettivo politico dichiarato è dunque, rendendo più difficile il passaggio degli elettrodotti, che si favorisca lo sviluppo di fonti di energia alternative.

Le ragioni del no

Tra gli argomenti di chi dice 'no' c'è la preoccupazione che il proliferare di opposizioni al passaggio di elettrodotti possa mettere a rischio la fornitura di energia elettrica di intere zone (quartieri di città, case isolate, paesi, industrie). Secondo i contrari al quesito, infatti, questo potenziale ricatto farebbe acquisire al proprietario del fondo attraversato dall'elettrodotto il potere di contrattare con l'azienda elettrica un risarcimento assai superiore ai prezzi di mercato, sia per il semplice passaggio che per l'eventuale acquisto della porzione di terreno interessata. E dunque, dicono i fautori del 'no' o dell'astensione, la vittoria del referendum si tradurrebbe in un aumento indiscriminato delle bollette elettriche.

Le posizioni dei partiti

: Rifondazione Comunista, Verdi, Pdci, minoranza Ds

Astensione: maggioranza Ds, Margherita, Forza Italia, An, Lega, Udc

Alcune considerazioni sull'istituto del Referendum.

L’articolo 75 della Costituzione (quarto comma) stabilisce che per la validità del referendum è necessario che vada a votare la metà più uno degli aventi diritto. La proposta referendaria è approvata se il "sì" raggiunge la metà più uno dei voti espressi. Nel caso di assoluta parità tra "sì" e "no", infatti, il referendum sarebbe respinto.

Con riferimento ai Referendum svoltisi dal 1997 in poi, detto "quorum" non è mai stato raggiunto e anche questa volta sembra che il rischio di non raggiungerlo ci sia, benché negli ultimi giorni almeno il quesito sull'art.18 sembra aver recuperato interesse.

Non sono stati forse troppi i referendum che si sono svolti nel nostro paese, tanto da aver svuotato di significato l'istituto stesso?

Nella storia della Repubblica c’è stato un referendum istituzionale, quello per la scelta tra Monarchia e Repubblica, uno approvativo, o "confermativo" , di legge costituzionale, quando i cittadini italiani sono stati chiamati ad esprimersi sulla riforma Costituzionale sul federalismo (7.10.2001), e numerosi referendum abrogativi di normative vigenti (le consultazioni sono state complessivamente 13 di cui molte comprendenti più referendum).

Il ricorso spregiudicato allo strumento del referendum non rivela tutta la sua inadeguatezza nel caso di materie complesse, come la riforma del sistema elettorale, il riordino della giustizia penale, la normativa di tutela dei diritti dei lavoratori, trovandosi l'elettore a rispondere a quesiti di carattere specialistico che richiederebbero competenze giuridiche e tecniche per poter rispondere con cognizione di causa?

E ritornando ai Referendum per i quali si voterà domani e lunedì non sembrano altrettanto valide sia le ragioni del si che quelle del no?

A ciò si deve aggiungere che in molte occasioni sia i sostenitori del SI che quelli del NO, non hanno speso una grande energia per sostenere le loro ragioni, anzi, nei fatti, se non proprio nella volontà, hanno boicottato la consultazione, mentre televisioni pubbliche e private – che sono, a detta di tutti, ormai il principale veicolo di informazione – dei referendum si è parlato al minimo, per non dire dei giornali.

Di conseguenza non sarà forse il caso di alzare almeno il numero dei sottoscrittori delle proposte di referendum abrogativo o consultivo in modo che le stesse si limitino ad argomenti in grado di coinvolgere larga parte dell'opinione pubblica?

Vi ricordate che una volta abbiamo anche votato per l'eliminazione del Ministero dell'Agricoltura, che peraltro il risultato fu favorevole all'abolizione dello stesso, e infatti ora abbiamo il Ministero delle Politiche Agricole e Forestali.









Ricordo del CHE



Figlio della piccola borghesia agiata, Ernesto "Che" Guevara de la Serna, (il nomignolo "Che" gli venne affibbiato per la sua abitudine a pronunciare questa breve parola, una specie di "cioè", in mezzo ad ogni discorso), nasce il 14 giugno 1928 a Rosario de la Fe in Argentina. Il padre Ernesto è ingegnere civile, la madre Celia una donna colta, grande lettrice, appassionata soprattutto di autori francesi.

Sofferente di asma fin da bambino, nel 1932 la famiglia Guevara si trasferisce vicino a Cordoba per consiglio del medico che prescrive per il piccolo Che un clima più secco (ma in seguito, fattosi più grandicello, la malattia non gli impedirà di praticare molto sport).

Studia con l'aiuto della madre, che avrà un ruolo determinante nella sua formazione umana e politica. Nel 1936-1939 segue con passione le vicende della guerra civile spagnola, per la quale i genitori si sono impegnati attivamente. A partire dal 1944 le condizioni economiche della famiglia peggiorano, ed Ernesto comincia a lavorare più o meno saltuariamente. Legge moltissimo, senza impegnarsi troppo nello studio scolastico, che lo interessa solo in parte. Si iscrive alla facoltà di Medicina e approfondisce le sue conoscenze lavorando gratuitamente all'istituto di ricerche sulle allergie, a Buenos Aires (dove la famiglia si è trasferita nel 1945).

Con l’amico Alberto Granados, nel 1951, parte per il suo primo viaggio in America Latina. Visitano il Cile, il Perù, la Colombia e il Venezuela. A questo punto i due si lasciano, ma Ernesto promette ad Alberto, che lavora in un lebbrosario, di rincontrarsi appena finiti gli studi. Ernesto Guevara nel 1953 si laurea, riparte per mantenere la promessa fatta a Granados. Come mezzo di trasporto usa il treno sul quale a La Paz incontra Ricardo Rojo, un esule Argentino, insieme al quale comincia a studiare il processo rivoluzionario che è in corso nel paese.

A questo punto decide di rimandare la sua carriera medica. L’anno successivo il Che giunge a Città di Guatemala dopo un viaggio avventuroso, con tappe a Guajaquil (Ecuador), Panama e San Josè de Costa Rica. Frequenta l’ambiente dei rivoluzionari che sono affluiti in Guatemala da tutta l’America Latina.

Conosce una giovane peruviana , Hilda Gadea, che diventerà sua moglie. Il 17 giugno, al momento dell’invasione del Guatemala da parte delle forze mercenarie pagate dall’United Fruit, Guevara tenta di organizzare una resistenza popolare, ma nessuno gli dà ascolto. Il 9 luglio 1955, intorno alle ventidue, al numero 49 di via Emperàn a Città del Messico, nella casa della cubana Maria Antonia Sanchez, Ernesto Che Guevara incontra una figura decisiva per il suo futuro, Fidel Castro. Fra i due scatta subito una forte intesa politica e umana, tanto che si parla di un loro colloquio durato tutta la notte senza alcun dissenso. Oggetto della discussione sarebbe stata l'analisi del continente sudamericano sfruttato dal nemico yankee. All’alba, Fidel propone ad Ernesto di prendere parte alla spedizione per liberare Cuba dal "tiranno" Fulgencio Batista.

Ormai esuli politici, parteciparono entrambi allo sbarco a Cuba nel novembre 1956. Fiero guerriero dall'animo indomito, il Che si rivela abile stratega e combattente impeccabile. A fianco di una personalità forte come quella di Castro ne assume le direttive teoriche più importanti, assumendo l’incarico della ricostruzione economica di Cuba in qualità di direttore del Banco Nacional e di ministro dell’Industria (1959).

Non completamente soddisfatto dei risultati della rivoluzione cubana, però, avverso ad una burocrazia che si andava sclerotizzando malgrado le riforme rivoluzionarie, irrequieto per natura, abbandona Cuba e si avvicina al mondo afro-asiatico, recandosi nel 1964 ad Algeri, in altri paesi africani, in Asia e a Pechino.

Nel 1967, coerente con i suoi ideali, riparte per un'altra rivoluzione, quella boliviana, dove, in quell'impossibile terreno, viene tratto in agguato e ucciso dalle forze governative. Non si conosce la data esatta della sua morte, ma sembra ormai accertato con buona approssimazione che il Che sia stato assassinato il 9 o il 10 ottobre di quell'anno.

Diventato in seguito un vero e proprio mito laico, un martire dei "giusti ideali", Guevara ha indubbiamente rappresentato per i giovani della sinistra europea (e non solo) un simbolo dell’impegno politico rivoluzionario, talvolta svilito a semplice gadget o icona da stampare sulle magliette.



(Articolo tratto da http://tesionline.corriere.it/)

domenica 8 giugno 2003

"Perché a te il passaporto?"

 "Come si fa a vivere in un posto dove c'è un solo giornale e un solo partito?" mi dice a voce bassa una giovane dottoressa passeggiando sulla spiaggia di Guanabo "E dove la televisione trasmette solo salsa e i discorsi del Leader Maximo? Come si fa a mettere in carcere 78 intellettuali colpevoli solo di cercare un'apertura, uno spiraglio? E fucilare tre persone solo perché cercano di scappare? Ma perché tutti vogliamo scappare da Cuba? Per te è facile espatriare, basta chiedere un passaporto. Per me resta un sogno proibito. Anche se avessi i soldi per il biglietto non mi darebbero il permesso, perché la mia specializzazione è considerata "strategica". Il mio capo è stato invitato dall'Ospedale di Careggi a un corso di altissima specializzazione, con una borsa di studio pagata dall'italia. A sua moglie, pure medico, non hanno dato il permesso, perché non avevano figli da lasciare qui. Non gliel'hanno mica negato ufficialmente. Qui a Cuba c'è tutto un modo obliquo di perdere le carte, di far ritardare i permessi. Fatto sta che a due coniugi non danno mai contemporaneamente il permesso di espatrio, se non hanno figli da lasciare in ostaggio.

Io non vorrei mai lasciare Cuba per sempre. Ma qui ti viene la claustrofobia. Capisci perché c'è tutta questa corsa a sposare lo straniero, anche se è vecchio e brutto? Qualsiasi cosa pur di andarsene.

E poi cosa credi, che a Cuba non ci sia razzismo? C'è, c'è. La vedi questa pelle nera? Non hai idea di quante umiliazioni mi costi." 


Preso per par condicio da: : http://kubakuba.splinder.it/  
Postato da Aless e Lux

venerdì 6 giugno 2003

Matrix e divagazioni sul tema


Non so ancora cosa pensare di Matrix. Sta diventando una forma di culto, come Star Trek, come Star Wars, come XFiles. Personalmente, nel genere fantascienza & simili, amo "StarGate" (il film, ma anche la trasmissione che purtroppo sta cambiando i connotati dopo la dipartita di Giacobbo), "Spazio 1999", anche se è preistoria, “Odissea nello Spazio”, “Solaris” (il primo, quello di Tarkovskij, il secondo non l’ho visto, ma provvederò in estate, in qualche cinema all’aperto, perché Clooney non si può perdere, anche se, per quanto ho sentito, il film non regge il confronto con il primo) e più di tutti “Contact”. 
Matrix (soprattutto il primo, perché era una novità) lo ritengo eccezionale per le scene e gli effetti speciali. Al contenuto ci devo ancora pensare. Non è un po’ ridicola la scena in cui Neo esce dall'ascensore e si trova di fronte la moltitudine con i doni, come se fosse veramente il Messia? Quella di Morpheus che parla al popolo è trascinante, ma non fa anche presagire il futuro dittatore? E l'architetto (il supercomputer che ha creato Matrix e anche Zion, l’Oracolo e tutto quanto), non ci aveva già pensato Borges, o forse si trattava di Dio che sogna il mondo?


E mi viene in mente anche il Regista, il Creatore, nel film, uscito qualche anno fa sulla realtà virtuale: un individuo crede di vivere una vita reale e invece è l’unico interprete inconsapevole di una specie di “grande fratello”, tutti gli altri sono attori, finché non ha qualche sospetto, o qualcuno lo mette sull’avviso, e infine capisce e riesce ad arrivare al Regista, al Creatore. In questo momento non riesco a ricordare il titolo, e nemmeno come finisce il film: qualcuno me lo dica, altrimenti ci penserò per giorni (nel tempo libero ovviamente, che non è molto). Non so nemmeno con quali termini cercarlo su Internet. Magari domani mi viene in mente, ma ora ho proprio il vuoto assoluto, eppure a suo tempo il film fu molto commentato, come adesso Matrix.

Ho letto di recente il libro di un fisico teorico, Michio Kaku, dal titolo “Iperspazio” ove si contemplano universi paralleli, cunicoli spazio-temporali, distorsioni del tempo, decima dimensione (il tutto vagamente comprensibile, ma non troppo) e infine si richiama un racconto di Asimov “The last Question” costruito intorno ad una macchina, l’A.C. (computer analogico) e alla domanda: anche l’universo deve finire?



Nel racconto la storia comincia nel 2061 anno in cui un colossale computer (AC) ha risolto ogni problema energetico sulla terra ed è così grande ed avanzato che i suoi tecnici hanno solo una vaga idea del modo in cui opera. Due tecnici ubriachi, per scommessa, chiedono al computer se la morte definitiva del Sole possa essere evitata e se, tra l’altro, anche l’universo sia destinato a morte certa ed il computer risponde: “dati insufficienti: non posso fornire una risposta significativa”. La stessa risposta il computer la fornisce secoli dopo quando gli essere umani hanno già colonizzato diversi sistemi solari e l’AC è talmente grande che occupa centinaia di chilometri quadrati su ogni pianeta, ed è talmente complesso che si mantiene in funzione da solo. E ancora la stessa risposta migliaia di anni dopo, quando la galassia è stata completamente colonizzata e l’A.C. ha risolto il problema della mortalità ed è talmente complesso che gli uomini hanno rinunciato a capire come funzioni, e milioni di anni dopo, quando l’umanità ha raggiunto e colonizzato innumerevoli galassie in tutto l’universo e l’A.C. ha risolto il problema di liberare la mente dal corpo, ma si sente ancora domandare se è possibile invertire il corso dell’entropia. E così ancora miliardi di anni dopo, quando l’umanità è rappresentata da miliardi di miliardi di miliardi di esseri immortali e la mente collettiva dell’umanità, che è libera di vagare ovunque voglia, si fonde in un'unica mente che a sua volta si fonde nella mente dell’A.C. Infine dopo un altro enorme lasso di tempo, quando l’universo si trova davvero in punto di morte, l’A.C. trova una soluzione, ma ormai non c’è più nessuno ad ascoltarlo. A questo punto formula un nuovo programma e poi comincia il processo di inversione del caos assoluto. Raccoglie il freddo interstellare, unisce le stelle morte fino a produrre una gigantesca sfera e poi, una volta compiuta l’opera, dall’iperspazio l’A.C. tuona: “E sia la luce”. E la luce fu!”

Stasera ho divagato davvero dai temi abituali di questo blog e temo che non mi commenterà nessuno. Già non lo ha fatto quasi nessuno quando ho parlato di Pubblica Amministrazione e nemmeno quando ho parlato di Internet e del fenomeno “Blog”. Per la P.A. c’è forse una causa precisa (politica), secondo un commentatore.

Ad ogni modo domani, o quando potrò, ritornerò a parlare di Europa dopo il recente G8, che credo meriti un “post”.


Per gli argomenti trattati stasera del resto ho già  un sito,“Avalon e dintorni”, ma potrei realizzare anche un apposito “blog”. Ho visto che i più famosi “blogger” ne stanno aprendo diversi, su Virgilio, su Clarence, e su tutti gli altri siti che forniscono il servizio. Anch’io ne ho uno su Clarence, però mi trovo meglio su Splinder, e quindi, se ne aprirò un altro, lo farò ancora su Splinder (o sarà meglio provare con Virgilio?). Ma guarda un po’ che problemi uno si deve creare, non bastassero quelli reali!


A quando un’ associazione, a almeno un gruppo di “self help” , tipo “Bloggisti anonimi”?

E quanto ai blog, fenomeno effimero o rivoluzione, come l’invenzione dell’alfabeto, della stampa, del cinema, della radio e della televisione? E che ci aspetta nel futuro?

Io comunque vorrei sapere che fine ha fatto l’”e-book”. E non intendo la possibilità di leggere libri “on line”, troppo scomoda per avere un futuro, quanto a stamparli, non ha senso, si spende meno a comprarli, ma appunto un minicomputer con il quale si possa accedere a tutto lo scibile stando comodamente sdraiati sul divano.

giovedì 5 giugno 2003

MATRIX -Test



Ho scoperto su "Brodo Primordiale"  questo test per vedere che personaggio di Matrix sarei.
Questo è il risultato:






You are Morpheus, from "The Matrix." You have strong faith in yourself and those around you. A true leader, you are relentless in your persuit. 

Magari, non l'avrei mai creduto.


brought to you by Quizilla

mercoledì 4 giugno 2003

Pubblica Amministrazione - Quali soluzioni?

In questi anni si è parlato molto di riforma della pubblica amministrazione, semplificazione, efficienza, efficacia, razionalizzazione, ecc. ecc. E sono state approvate anche delle buone leggi, sul procedimento amministrativo, sulla documentazione amministrativa, sull’ordinamento degli enti locali.

Ma purtroppo la mentalità di chi lavora nella pubblica amministrazione, salvo le solite eccezioni, non è affatto cambiata, e ciò non può avvenire per imposizione di legge. Ma come allora?

Sono dirigente di servizio in un ente locale e tutti i giorni mi trovo di fronte ai soliti problemi, irresolubili credo.

Il personale non ha assolutamente il concetto dell’appartenenza, tanto meno quello della responsabilità, le innovazioni fanno paura, l’informatica è misconosciuta. Si continua a fare quello che si è sempre fatto, perché così è sempre stato. Vecchie ruggini tra colleghi, contrasti tra un ufficio e l’altro, piccoli privilegi difesi con una determinazione degna di miglior causa, completano il quadro. Per non dire delle problematiche personali che già guastano il clima alle 8.00 di mattina, quando qualcuno arriva con la luna storta per motivi suoi,  dei contrasti per le ferie che si pretende ancora di godere per un mese intero (ma mi domando poi chi si può permettere di star fuori un mese), dei turni per il cesso e la colazione che bisogna organizzare pure quelli, perché non se li sanno gestire da soli, delle lamentele continue per il troppo stress, tanto che sembra che il sudore scenda a rivoli da sotto le sedie, anche se io non l’ho mai visto, anzi mi è capitato più facilmente  di scorgere sguardi perduti al soffitto, alla finestra, non si sa dove, subito gettati su una pratica se mi trovo a passare per caso nelle vicinanze dell’oberato di turno.

Ma non sarà mica colpa mia? Forse dovrei imparare  ad utilizzare il pensiero laterale. Ieri mi è capitato di leggere su “La Repubblica” un articolo su Edward De Bono, psicologo e medico maltese, teorico della creatività, di cui ignoravo completamente l’esistenza. Il suddetto, ad un certo punto della sua carriera, si è domandato come mai alcune persone hanno idee nuove, inventano cose, tirano fuori concetti che costringono a voltare pagina, mentre altri, magari altrettanto o più intelligenti, continuano a percorrere strade note e non voltano mai pagina? E  ha trovato una soluzione nel pensiero laterale. La nostra tradizione di pensiero, dice De Bono, discende dalla “gang” dei tre, cioè Socrate, Platone e Aristotele e si basa sulla logica, ma per trovare una soluzione ai problemi, invece di concentrarsi sulla sequenza ordinaria e rimanerne prigionieri, occorre cambiare prospettiva, guardare dall’altra parte: il lateralismo rovescia la situazione. Non ho capito molto bene. E nella mia situazione cosa dovrei rovesciare, a parte forse qualcuno? Avrei bisogno di un “coach”, una specie di allenatore della mente molto di moda in America e sembra in arrivo, come al solito, anche in Europa (se ne è parlato di recente anche su “Il Sole 24 ore”).


Sono reali i risultati del censimento della popolazione?

Ieri su “La Repubblica” mi è capitato di leggere un articolo dal titolo “Ma quanti sono gli Italiani?” che commentava i risultati del censimento generale della popolazione, da poco resi pubblici, che hanno fissato in circa 57 milioni (per l’esattezza 56,996 milioni) la popolazione residente in Italia (cioè dimorante abitualmente negli 8101 Comuni del Paese) alla data del 21.10.2001, cioè appena 200.000 in più rispetto ai dati del precedente censimento del 1991. Questa è la cosiddetta “popolazione legale”, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale, in base alla quale si formano le circoscrizioni elettorali, si assegnano i seggi nelle varie consultazioni elettorali politiche e amministrative, e costituisce in sintesi una sorta di “catasto” demografico dal quale discendono diritti e doveri politici e sociali e prerogative locali.


L’articolo rivelava altresì che alla vigilia del censimento gli iscritti nelle anagrafi dei Comuni italiani erano 57,953 milioni, cioè un milione in più dei residenti verificati dalle operazioni censuarie, e concludeva che le anagrafi funzionano male e che il cattivo funzionamento si spiega “nel disinteresse sostanziale dei singoli comuni nel verificare la corrispondenza tra la posizione di iscritto in anagrafe e l’effettiva dimora dei cittadini. Disinteresse che ha molte cause: difficoltà amministrative (specie nei grandi comuni), motivi elettorali, economici, di prestigio. Ma causa prima è l’arretratezza: in un mondo dove anche i bambini fanno giochi di prestigio con il computer, quasi 500 anagrafi comunali lavorano ancora in cartaceo e il progetto SAIA – che si propone l’informatizzazione delle anagrafi e la loro interattività – …….batte la fiacca”.

Posso raccontare in proposito la mia esperienza in quanto dirigente dei Servizi Demografici del mio Comune e responsabile dell’Ufficio Comunale di Censimento durante i censimenti generali 2001.

Non c’è dubbio che il numero degli iscritti nell’anagrafe del mio Comune alla data del 20.10.2001, vigilia del censimento, poco più di 88.000, fosse errato per eccesso, anche perché ai precedenti censimenti del 1981 e del 1991 non seguì la prevista revisione anagrafica, ma sono anche certa che, al contrario, i risultati del censimento che hanno indicato in poco più che 84.000 i dimoranti abituali  alla data del 21.10.2001 siano errati per difetto.

Infatti le operazioni di rilevazione sul territorio sono state svolte da 125 incaricati quasi tutti esterni, ragazzi molto spesso alla prima esperienza lavorativa, ma già ampiamente sindacalizzati, e tanto consapevoli dei propri diritti, quanto poco dei relativi doveri. In ufficio avevamo 13 coordinatori, tutti esterni, più sindacalizzati che mai. L’Amministrazione ha ritenuto che l’Ufficio di Censimento dovesse essere ridotto all’osso, con solo 4 addetti interni, poi ridottisi a due, che, devo dire, hanno lavorato bene, coadiuvati da un po’ di personale a straordinario.

Il lavoro preparatorio sulle Basi Territoriali (sezioni di censimento, aree di circolazione, numeri civici), che avrebbe dovuto essere approntato almeno l’anno prima, è stato realizzato in 20 giorni, quando, dopo l’ennesima lettera della sottoscritta, l’Amministrazione si è decisa finalmente a nominare il responsabile tecnico. Nel nostro Comune peraltro non esiste un Servizio Informatico Territoriale, se non sulla carta, molte aree di circolazione fuori dai centri urbani sono un po’ vaghe e la numerazione interna in larga parte non esiste. Pertanto devo riconoscere che i rilevatori, al di là delle deficienze proprie, hanno incontrato anche delle difficoltà esterne di un certo rilievo.

I coordinatori hanno passato buona parte del tempo a discutere dello scarso compenso, e sono d’accordo che era scarso, ma i suddetti avevano comunque firmato un contratto, e la sottoscritta si è trovata a rivestire il ruolo dell’affamatrice del popolo e l’assessore di riferimento quello del sindacalista. Il 2 gennaio 2002 (ero in ferie) ho ricevuto una telefonata a casa dal dirigente dell’Area di riferimento, perché rilevatori e coordinatori, di cui peraltro qualcuno non aveva ancora completato l’incarico, avevano protestato per non aver ancora ricevuto un acconto e quindi bisognava provvedere subito, anche se normalmente tra la fine dell’anno e l’inizio del nuovo la ragioneria blocca i pagamenti (diversi Comuni hanno pagato dopo mesi, ma noi in questo siamo stati tra i più celeri).

Personalmente per questo incarico, che si aggiungeva alle mie normali funzioni di dirigente di servizio (ho lavorato quasi tutti i pomeriggi e talvolta anche la sera per 11 mesi), ho ricevuto complessivamente, e dopo diversi mesi dalla conclusione dell’incarico, un compenso € 3000 scarsi (lordi), di cui 1000 dal contributo ISTAT e 2000 dall’Amministrazione, quale indennità di risultato. Il mio omologo del 1991 aveva incassato £.40.000.000 circa (lordi), però mi è stato detto che si trattava di altri tempi (o di altra persona?).

Per quanto poi riguarda la procedura informatica di gestione del censimento, il servizio elaborazione dati fece presente l’impossibilità di provvedere per motivi di organizzazione interna, e consigliò di conferire un incarico esterno di consulenza e di acquistare una procedura “ad hoc”, considerato altresì che il software approntato dall’ ISTAT tardava ad arrivare e comunque avrebbe richiesto 13 licenze ACCESS, una per ogni computer assegnato ai coordinatori, o almeno così mi è stato detto, che l’amministrazione non riteneva di dover comprare. Così fu acquistato un “software” per la relativamente modica cifra di € 8.500, ma il collegamento con la procedura anagrafica non è  stato possibile attivarlo, cosicché non è stato possibile procedere all’allineamento tra i dati del censimento e quelli anagrafici, né durante le operazioni censuarie, né dopo. Infatti solo con metodi assolutamente artigianali è stato possibile procedere ad una revisione molto parziale  e pertanto i dati anagrafici e quelli dell’ISTAT continueranno a divergere.

Credo tuttavia che anche l’ISTAT dovrà ripensare il sistema dei censimenti o per lo meno le modalità del loro svolgimento.

domenica 1 giugno 2003

SENZA ALCUN RITEGNO

Nel post di ieri sul falso dossier britannico sull'Iraq avevo riportato la dichiarazione di Donald Rumsfeld a proposito delle armi di distruzione di massa di Saddam Hussein e cioè che "non si troveranno perché forse Saddam le ha distrutte prima del conflitto”.

Mi erano sfuggite tuttavia le rivelazioni di Paul Wolfowitz, il numero due del Pentagono, a "Vanity Fair": "Abbiamo insistito sulle armi di distruzione di massa per motivi burocratici. Era il solo argomento su cui tutti potevano essere d'accordo con noi" ma il motivo vero era che "il rovesciamento di Saddam Hussein avrebbe permesso agli americani di ridurre il peso della presenza in Arabia Saudita."

Queste rivelazioni non hanno sorpreso nessuno in Europa, in quanto erano le cose che gli oppositori della guerra avevano sempre detto. Hanno tuttavia suscitato i commenti indignati dei giornali europei, ma anche del "New York Times" e del "Los Angeles Times" per l'impudenza, la mancanza di qualsiasi ritegno e dunque la solita arroganza della destra americana.


Un giornalista del Guardian ha intervistato il "blogger" iracheno SALAM PAX

Vi ricordate di Salam Pax, il protagonista del "blogger" iracheno "Dear Read", che si è conquistato notorietà raccontando la vita di tutti i giorni nell'Iraq che si preparava alla guerra?

Un giornalista del Guardian è riuscito a trovarlo e lo ha intervistato. E’ un architetto ventinovenne laureato a Vienna e tornato a Bagdad nel '96.

Tutto è cominciato per caso un anno fa, racconta Salam, quando un irregolare scambio di messaggi via e-mail con un amico giordano palestinese di nome Raed si è trasformato in un "blog", dal titolo DEAR Read (Caro Read, ma in inglese è un palindromo e ciò aveva aumentato i sospetti sull'origine reale del blog).

Il Mukhabarat (servizio segreto iracheno) aveva più volte tentato di oscurarlo e di individuarlo, senza riuscirci, e qualcuno aveva accusato Salam di essere un agente della CIA. Si sospettava comunque da più parti che l'autore non fosse iracheno per i frequenti riferimenti alla musica e al cinema americano ritenuti estranei alla cultura irachena.

Il “blog” ha trasmesso anche nei primi giorni di guerra fino a quando c'è stata la corrente elettrica e ha ripreso dopo la fine del regime.

Il giovane architetto, rischiando notevolmente, non ha risparmiato critiche al regime. Al contempo si dichiarava contrario alla guerra e tuttora non lesina critiche alla gestione anglo-americana, ma auspica che la ricostruzione avvenga al più presto e intanto continua a scrivere in una camera piena di cavi, monitor, dischi, giornali e il poster di Matrix. Ora il Guardian gli ha offerto una collaborazione. 

Internet libera fa paura?

Internet è un mezzo grandioso, libero, democratico, gratuito, con il quale chiunque può diffondere opinioni e notizie, fare quindi del giornalismo, anche se di mestiere fa tutt'altra cosa e senza alcun condizionamento derivante dai rapporti tra editoria e potere economico. Proprio per questo è reale il rischio che intervengano restrizioni, perché i poteri, politici ed economici, anche quelli che si definiscono difensori della libertà e della democrazia, temono la vera libertà.

Certo è anche un mezzo con il quale si diffonde tanto superfluo, da cui, peraltro, non sono immuni nemmeno la carta stampata e gli altri “media".

Dall’ottimo e piacevole articolo di Riccardo Orioles che potete leggere per intero su “The Gnueconomy" , nella rubrica "Tanto per abbaiare":


"L'internet è libero, e fa paura. Scrivere su un sito costa appena un po' di più che scrivere sui muri ma è infinitamente più efficace. I padroni del mondo, quando è stata inventata la scrittura, debbono aver provato un panico molto simile a quello dei padroni di ora, di fronte a un mezzo alla portata di tutti, di tutti i cervelli e di tutte le verità. Chissà quanti hacker saranno finiti nelle miniere di sale, a quel tempo, per uso abusivo dell'alfabeto."

"In Italia tutta l'informazione è ormai concentrata nelle mani di una mezza dozzina di proprietari, non di più. Molte notizie escono assai sbiadite, o non escono affatto. E non è solo Berlusconi a censurare ma anche CaraccioloRomitiCaltagirone,CiancioAgnelli. Periodicamente, campagne "d'opinione" mirate vengono lanciate a freddo per conseguire questo o quell'obbiettivo politico o industriale: "domani piove"può significare semplicemente che la proprietà del giornale produce d'ombrelli."

"Dieci anni fa, questa rubrica non sarebbe potuta uscire: non avrei avuto i soldi, semplicemente, per fare un giornale da solo. Sarei stato non solo personalmente emarginato (il che riguarda me) ma proprio costretto al silenzio: il che riguarda voi, perché una notizia o un'opinione in meno impoveriscono tutti. Con l'internet invece posso parlare..…tecnicamente posso far viaggiare opinioni e notizie in un ambito sufficientemente esteso da essere utilizzabili dai lettori. Posso fare giornalismo, insomma."

lunedì 30 giugno 2003

Il Padrino





Questa la copertina di "Der Spiegel" del 27.6.2003. Carina. Anche se mi sembra di ricordare che sullo stesso giornale (o era un altro, comunque sempre tedesco) comparve anni fa una copertina dedicata all'Italia con un piatto di spaghetti e la pistola dentro, con l'intento di invitare i tedeschi a escludere l'Italia dalle proprie mete vacanziere, perché vi comandava la Mafia, e magari in parte è vero.


Certamente non abbiamo una buona fama all'estero e il nostro Presidente del Consiglio non ce la migliora certo.

Tuttavia si tratta del nostro premier democraticamente eletto. E chi lo ha votato non credo non sapesse con chi aveva a che fare. Penso che ci sia anche stato qualcuno che lo ha fatto per rabbia nei confronti della gestione del centro sinistra che in sei anni non è riuscito, tra l'altro, a far approvare una legge sul conflitto di interessi che forse avrebbe impedito a Berlusconi di presentarsi alle elezioni. Ma approvarla avrebbe significato, ad esempio, creare problemi a molte amministrazini locali di sinistra o centro-sinistra.

E proprio nelle amministrazioni locali di sinistra accadono cose che come minimo fanno imbestialire chi crede in un modo di lavorare moderno ed efficiente, a cominciare dalla difesa dei lavativi. Da ognuno secondo le proprie capacità e ad ognuno secondo le proprie necessità, era una massima marxista. Con tale principio però nelle pubbliche amministrazioni tutti hanno diritti e nessuno doveri. Non esiste principio di gerarchia e tutti vogliono dire la loro e intanto nessuno lavora.

E poi tutti i democristiani finiti nell'"Ulivo"? Conosco persone cui veniva l'orticaria solo a nominare non dico il comunismo, ma qualsiasi forma di democrazia liberale laica, che sono tutti confluiti nell'"Ulivo".

Passando ad altro, ma sempre in relazione a Sua Emittenza vi invito a leggere l’articolo di Givanni Sartori “Così io ho vissuto il cambio al Corriere” pubblicato sul Corriere della Sera del 27 giugno scorso e riportato nel blog  “Pensare Blu” 

IRAQ: UN DIFFICILE DOPOGUERRA

Dal 1° maggio scorso, giorno in cui il Presidente americano George Bush ha dichiarato la fine della guerra in Iraq, sono già alcune decine i soldati americani caduti sul territorio iracheno, quasi la metà di quelli morti durante il conflitto. Alle perdite americane si aggiungono quelle britanniche: una decina di uomini dalla fine della guerra, di cui sei in un attacco particolarmente violento di cui ancora non è certa la dinamica. Secondo la versione inglese un agguato del tutto ingiustificato, per gli iracheni della zona la risposta a un comportamento provocatorio e violento dei soldati occupanti.

E’ in questo contesto che si trovano ad operare anche i 700 soldati italiani della brigata Garibaldi già arrivati a Nassyria.

Questi eventi drammatici stanno creando non poche difficoltà al premier inglese Blair, che si aggiungono a quelle provocate dal mancato ritrovamento delle armi di distruzione di massa.

Questa situazione di instabilità e di violenza è il prezzo inevitabile da pagare per pacificare un paese che esce da una dittatura sanguinaria oppure conferma l’impossibilità di imporre con la forza la convivenza civile e democratica?

Altre notizie dall’Iraq

Ieri il leader del Congresso nazionale iracheno, Ahmed Chalabi, ai microfoni della televisione statunitense 'Cnn' si e' detto convinto che Saddam Hussein non solo e' vivo, ma coordina gli attacchi della guerriglia contro i militari angloamericani. "Il dittatore, ha spiegato, non aveva un piano militare per fermare gli Stati Uniti, ma si era preparato per il dopoguerra".
E riappare sulla scena, in un'intervista alla televisione del Dubai, l'esponente più celebre del regime di Saddam, Mohamed al Sahaf , ex ministro dell'Informazione, che si è guadagnato il soprannome di “Alì il comico” per avere tra l'altro proclamato la sconfitta delle forze americane mentre i carri armati americani facevano il loro ingresso a Baghdad. Negli Stati Uniti è anche uscita una cassetta con le sue battute più celebri e gli è stato dedicato un  sito.
Qualche giorno fa lo davano per catturato in un sobborgo di Bagdad e condotto chissà dove dalle truppe alleate.
Altri dicevano che era morto e sepolto da tempo.

Ora, l'ennesimo colpo di scena. L'ex ministro dell'Informazione iracheno Mohamed al Sahaf è comparso il 26 giugno alla televisione del Dubai Al Arabiya e ha raccontato di essersi consegnato alle truppe americane in Iraq che lo hanno interrogato prima di rimetterlo in libertà.
Sembra che l'intervista, registrata a Baghdad, contenga “molte informazioni importanti sulla recente guerra e sulla caduta del regime iracheno”.

sabato 21 giugno 2003

Fa sempre più caldo


L’estate dovrebbe cominciare il 21 giugno, ma quest’anno è arrivata con un mese di anticipo.

Per i prossimi giorni si prevede che le temperature raggiungeranno i 40 gradi.

L’anno 2002 è stato il secondo anno più caldo mai registrato (dopo il 1998) e il 2003 sembra intenzionato a superarlo.



Le cronache ricordano un clima particolarmente caldo tra il IX° e il XII° secolo, anche se allora non si registravano le temperature : in Inghilterra si coltiva la vite; i Vichinghi colonizzano la Groenlandia (terra verde) e raggiungono l’America.

Tuttavia gli esperti non hanno dubbi che il riscaldamento del pianeta verificatosi negli ultimi anni sia stato provocato dalle attività umane e in particolare dalle emissioni di gas serra. Non ci sono più dubbi che il pianeta è malato.

Un modo per evitare il disastro c’è: tagliare le emissioni di anidride carbonica investendo sull’energia solare.

Ma a cinque anni dalla firma del Protocollo di Kyoto, che avrebbe dovuto impegnare i Paesi industrializzati e quelli in economia di transizione (cioè l’Est europeo), responsabili di oltre il 70 per cento delle emissioni di gas serra, a ridurle del 5,2 per cento entro il 2012, siamo ancora al semplice e tormentato elenco delle buone intenzioni.

Gli Usa responsabili da soli del 25% dei gas nocivi rifiutano di ratificare il documento, mentre Australia e Russia ci stanno ancora pensando. Ma anche i Paesi che hanno già sottoscritto il protocollo sono lontani dagli impegni presi. Pertanto, se nulla cambierà, secondo l’International energy agency, entro il 2012, le emissioni potrebbero aumentare del 45 per cento.

E proprio in questi giorni si è letto sui giornali che il governo americano avrebbe fatto falsificare ( e ci risiamo con le falsificazioni) un documento sulle conseguenze delle emissioni di gas serra.

Ma rischiare la catastrofe ambientale per ragioni economiche ha un senso? Chi governa non si ricorda mai che di pianeti in cui vivere ne abbiamo uno solo?

venerdì 20 giugno 2003

Aiutiamo gli studenti di Teheran

Moti di piazza a Teheran: da una settimana gli studenti iraniani manifestano contro la dittatura bigotta e sessuofobica degli Imam. Chiedono riforme democratiche e affermano il diritto a esprimere il loro punto di vista e a criticare la guida teocratica del Paese. Le proteste contro il regime sono anche contro le politiche di privatizzazione intraprese dal governo del "riformatore" Khatami in tutti i settori compresa la scuola e l'università; riforme evidentemente dettate dalle politiche neo liberiste care agli Stati Uniti e alle istituzioni monetarie. Agli studenti universitari che sono in lotta contro il regime di Teheran si sono unite le popolazioni di molte città. Più di cento persone sono state arrestate nella capitale iraniana. Ma nonostante la dura repressione la protesta sembra inarrestabile.

Tuttavia nessuno in Occidente ha ancora organizzato almeno una manifestazione di solidarietà per l’Iran libero, e liberato dagli Iraniani e non dal Pentagono.

Anzi, mentre gli studenti iraniani lottano per la libertà di informazione e la democrazia, la stampa internazionale e le sinistre europee sembrano appoggiare il Presidente Khatami. E nella pacifista e democratica Francia sono stati arrestati  165simpatizzanti del movimento iraniano dei Mujaheddin del popolo, accusati di "fomentare il terrorismo". Ma l'accusa corrisponde alla realtà? Intanto, per protesta, cinque simpatizzanti del movimento dei Mujaheddin, a Parigi, Londra e Berna, nelle ultime 24 ore, si sono dati fuoco e una  donna è morta.

Va bene che è caldo e stiamo tutti pensando alle ferie, ma intanto Rumsfeld afferma che in Iran ci sono arsenali nucleari, mentre le proteste sono state strumentalizzate dal governo di Bush e contemporaneamente infangate dall'Ayatollah Khamenei che in un discorso pubblico ha accusato gli studenti di essere ispirati e pagati dagli americani.
E di fronte a tutto ciò, cosa fanno i progressisti italiani ed europei? Intendono stare a guardare, in attesa che piovano le bombe e che arrivino i liberatori a stelle e strisce? Solo quando ciò accadrà si sentiranno ispirati?

Per ora in Iran non c'è la guerra, per quanto venga qua e là ventilata e pertanto  l'interesse non c'è o se c'è è molto tenue.
Ma proprio chi non vuole una “democrazia” imposta con le bombe e un regime imposto dai "liberatori" dovrebbe far sentire oggi la propria voce, dovrebbe incoraggiare le forze del rinnovamento, i riformisti veri, tutti coloro che si battono per far cadere la teocrazia iraniana.

Intanto cosa accade in Iraq?

Per ora non c’è traccia di un governo democratico, laico, federale, multietnico, multiconfessionale, mentre gli americani non sembrano aver propriamente la situazione sotto controllo, come testimoniano i numerosi “incidenti”con morti da entrambe le parti.

Intanto Bush e Blair stanno passando un po’ di guai per aver falsificato le informazioni per attaccare l’Iraq. Ma probabilmente rimarranno in sella, perché anche se hanno detto il falso in paesi in cui non si può mentire nemmeno sulla propria vita privata, lo hanno fatto per un nobile scopo, liberare gli iracheni dal Male.

sabato 14 giugno 2003

REFERENDUM



Domenica 15 e lunedì 16 giugno 2003 si vota per i seguenti Referendum Popolari:

1) Abrogazione delle norme che stabiliscono limiti numerici ed esenzioni per l'applicazione dell'art.18 dello Statuto dei Lavoratori.

L’obiettivo del referendum è l’estensione del diritto al reintegro nel posto di lavoro per i dipendenti licenziati senza giusta causa. Tale diritto, infatti, non è attualmente previsto per i lavoratori delle aziende che occupano meno di 15 dipendenti. Per questi, infatti, la legge stabilisce in caso di licenziamento senza giusta causa solo un risarcimento di carattere economico.

Le ragioni del sì

Chi sostiene il 'sì' al referendum sull’articolo 18 sostiene che il reintegro in caso di licenziamento senza giusta causa è un “diritto di civiltà” che, se vale per i lavoratori di aziende medio-grandi, deve valere anche per quelli delle piccole imprese. In sostanza i promotori vogliono porre fine a quella che viene considerata una “discriminazione” di alcuni lavoratori a vantaggio di altri e limitare anche nelle aziende di piccole dimensioni possibili decisioni arbitrarie dei datori di lavoro sui loro dipendenti. Alle maggiori tutele, secondo i favorevoli, corrispondono anche vantaggi di ordine economico: la non licenziabilità produce stabilità e investimento del singolo nel proprio posto di lavoro.

 

Le ragioni del no

Le piccole imprese – fa notare chi si è schierato per l’astensione, dunque perché non si raggiunga il quorum – sono realtà profondamente diverse dalle aziende medio-grandi, nelle quali è in vigore la norma del reintegro. Così tra i contrari al referendum ci sono sia quelli che vorrebbero rivedere il diritto al reintegro anche nelle imprese con più di 15 dipendenti (come la Confindustria) ma anche quelli (come i Ds) che pur difendendo le norme attuali considerano l’estensione dell’articolo 18 una “rigidità” che rischia di mettere in difficoltà il sistema delle imprese di piccole dimensioni. Per chi è contrario, l’articolo 18 esteso a tutti potrebbe avere effetti controproducenti: per esempio scoraggiare le aziende con meno di 15 dipendenti dal fare nuove assunzioni a tempo indeterminato. E dunque, in linea generale, penalizzare l’occupazione.

 

Le posizioni di partiti e sindacati

 

Sì: Rifondazione comunista, Verdi, Pdci, sinistra Ds, Cgil

Astensione: Cisl, Uil, Margherita, maggioranza Ds, Forza Italia, An, Lega, Udc, Confindustria

2)Abrogazione della servitù coattiva di elettrodotto

L’obiettivo del referendum è rendere più difficile e comunque più “garantito” il passaggio degli elettrodotti sul territorio. L'attuale normativa stabilisce che ogni proprietario è obbligato a dare passaggio sui suoi terreni alle condutture elettriche. Se il 15 giugno si raggiunge il quorum e vincono i 'sì', il cittadino e gli enti locali potranno opporsi e così accedere, con maggiore potere contrattuale, alla trattativa nei confronti delle società che trasportano energia elettrica.

Le ragioni del sì

I promotori sostengono che in questo modo si può frenare l'espansione delle decine di impianti che dopo la liberalizzazione promettono di moltiplicarsi sul territorio. Impianti che – dicono ancora i fautori del 'sì' – mettono a rischio la salute dei cittadini. L’obiettivo politico dichiarato è dunque, rendendo più difficile il passaggio degli elettrodotti, che si favorisca lo sviluppo di fonti di energia alternative.

Le ragioni del no

Tra gli argomenti di chi dice 'no' c'è la preoccupazione che il proliferare di opposizioni al passaggio di elettrodotti possa mettere a rischio la fornitura di energia elettrica di intere zone (quartieri di città, case isolate, paesi, industrie). Secondo i contrari al quesito, infatti, questo potenziale ricatto farebbe acquisire al proprietario del fondo attraversato dall'elettrodotto il potere di contrattare con l'azienda elettrica un risarcimento assai superiore ai prezzi di mercato, sia per il semplice passaggio che per l'eventuale acquisto della porzione di terreno interessata. E dunque, dicono i fautori del 'no' o dell'astensione, la vittoria del referendum si tradurrebbe in un aumento indiscriminato delle bollette elettriche.

Le posizioni dei partiti

: Rifondazione Comunista, Verdi, Pdci, minoranza Ds

Astensione: maggioranza Ds, Margherita, Forza Italia, An, Lega, Udc

Alcune considerazioni sull'istituto del Referendum.

L’articolo 75 della Costituzione (quarto comma) stabilisce che per la validità del referendum è necessario che vada a votare la metà più uno degli aventi diritto. La proposta referendaria è approvata se il "sì" raggiunge la metà più uno dei voti espressi. Nel caso di assoluta parità tra "sì" e "no", infatti, il referendum sarebbe respinto.

Con riferimento ai Referendum svoltisi dal 1997 in poi, detto "quorum" non è mai stato raggiunto e anche questa volta sembra che il rischio di non raggiungerlo ci sia, benché negli ultimi giorni almeno il quesito sull'art.18 sembra aver recuperato interesse.

Non sono stati forse troppi i referendum che si sono svolti nel nostro paese, tanto da aver svuotato di significato l'istituto stesso?

Nella storia della Repubblica c’è stato un referendum istituzionale, quello per la scelta tra Monarchia e Repubblica, uno approvativo, o "confermativo" , di legge costituzionale, quando i cittadini italiani sono stati chiamati ad esprimersi sulla riforma Costituzionale sul federalismo (7.10.2001), e numerosi referendum abrogativi di normative vigenti (le consultazioni sono state complessivamente 13 di cui molte comprendenti più referendum).

Il ricorso spregiudicato allo strumento del referendum non rivela tutta la sua inadeguatezza nel caso di materie complesse, come la riforma del sistema elettorale, il riordino della giustizia penale, la normativa di tutela dei diritti dei lavoratori, trovandosi l'elettore a rispondere a quesiti di carattere specialistico che richiederebbero competenze giuridiche e tecniche per poter rispondere con cognizione di causa?

E ritornando ai Referendum per i quali si voterà domani e lunedì non sembrano altrettanto valide sia le ragioni del si che quelle del no?

A ciò si deve aggiungere che in molte occasioni sia i sostenitori del SI che quelli del NO, non hanno speso una grande energia per sostenere le loro ragioni, anzi, nei fatti, se non proprio nella volontà, hanno boicottato la consultazione, mentre televisioni pubbliche e private – che sono, a detta di tutti, ormai il principale veicolo di informazione – dei referendum si è parlato al minimo, per non dire dei giornali.

Di conseguenza non sarà forse il caso di alzare almeno il numero dei sottoscrittori delle proposte di referendum abrogativo o consultivo in modo che le stesse si limitino ad argomenti in grado di coinvolgere larga parte dell'opinione pubblica?

Vi ricordate che una volta abbiamo anche votato per l'eliminazione del Ministero dell'Agricoltura, che peraltro il risultato fu favorevole all'abolizione dello stesso, e infatti ora abbiamo il Ministero delle Politiche Agricole e Forestali.









Ricordo del CHE



Figlio della piccola borghesia agiata, Ernesto "Che" Guevara de la Serna, (il nomignolo "Che" gli venne affibbiato per la sua abitudine a pronunciare questa breve parola, una specie di "cioè", in mezzo ad ogni discorso), nasce il 14 giugno 1928 a Rosario de la Fe in Argentina. Il padre Ernesto è ingegnere civile, la madre Celia una donna colta, grande lettrice, appassionata soprattutto di autori francesi.

Sofferente di asma fin da bambino, nel 1932 la famiglia Guevara si trasferisce vicino a Cordoba per consiglio del medico che prescrive per il piccolo Che un clima più secco (ma in seguito, fattosi più grandicello, la malattia non gli impedirà di praticare molto sport).

Studia con l'aiuto della madre, che avrà un ruolo determinante nella sua formazione umana e politica. Nel 1936-1939 segue con passione le vicende della guerra civile spagnola, per la quale i genitori si sono impegnati attivamente. A partire dal 1944 le condizioni economiche della famiglia peggiorano, ed Ernesto comincia a lavorare più o meno saltuariamente. Legge moltissimo, senza impegnarsi troppo nello studio scolastico, che lo interessa solo in parte. Si iscrive alla facoltà di Medicina e approfondisce le sue conoscenze lavorando gratuitamente all'istituto di ricerche sulle allergie, a Buenos Aires (dove la famiglia si è trasferita nel 1945).

Con l’amico Alberto Granados, nel 1951, parte per il suo primo viaggio in America Latina. Visitano il Cile, il Perù, la Colombia e il Venezuela. A questo punto i due si lasciano, ma Ernesto promette ad Alberto, che lavora in un lebbrosario, di rincontrarsi appena finiti gli studi. Ernesto Guevara nel 1953 si laurea, riparte per mantenere la promessa fatta a Granados. Come mezzo di trasporto usa il treno sul quale a La Paz incontra Ricardo Rojo, un esule Argentino, insieme al quale comincia a studiare il processo rivoluzionario che è in corso nel paese.

A questo punto decide di rimandare la sua carriera medica. L’anno successivo il Che giunge a Città di Guatemala dopo un viaggio avventuroso, con tappe a Guajaquil (Ecuador), Panama e San Josè de Costa Rica. Frequenta l’ambiente dei rivoluzionari che sono affluiti in Guatemala da tutta l’America Latina.

Conosce una giovane peruviana , Hilda Gadea, che diventerà sua moglie. Il 17 giugno, al momento dell’invasione del Guatemala da parte delle forze mercenarie pagate dall’United Fruit, Guevara tenta di organizzare una resistenza popolare, ma nessuno gli dà ascolto. Il 9 luglio 1955, intorno alle ventidue, al numero 49 di via Emperàn a Città del Messico, nella casa della cubana Maria Antonia Sanchez, Ernesto Che Guevara incontra una figura decisiva per il suo futuro, Fidel Castro. Fra i due scatta subito una forte intesa politica e umana, tanto che si parla di un loro colloquio durato tutta la notte senza alcun dissenso. Oggetto della discussione sarebbe stata l'analisi del continente sudamericano sfruttato dal nemico yankee. All’alba, Fidel propone ad Ernesto di prendere parte alla spedizione per liberare Cuba dal "tiranno" Fulgencio Batista.

Ormai esuli politici, parteciparono entrambi allo sbarco a Cuba nel novembre 1956. Fiero guerriero dall'animo indomito, il Che si rivela abile stratega e combattente impeccabile. A fianco di una personalità forte come quella di Castro ne assume le direttive teoriche più importanti, assumendo l’incarico della ricostruzione economica di Cuba in qualità di direttore del Banco Nacional e di ministro dell’Industria (1959).

Non completamente soddisfatto dei risultati della rivoluzione cubana, però, avverso ad una burocrazia che si andava sclerotizzando malgrado le riforme rivoluzionarie, irrequieto per natura, abbandona Cuba e si avvicina al mondo afro-asiatico, recandosi nel 1964 ad Algeri, in altri paesi africani, in Asia e a Pechino.

Nel 1967, coerente con i suoi ideali, riparte per un'altra rivoluzione, quella boliviana, dove, in quell'impossibile terreno, viene tratto in agguato e ucciso dalle forze governative. Non si conosce la data esatta della sua morte, ma sembra ormai accertato con buona approssimazione che il Che sia stato assassinato il 9 o il 10 ottobre di quell'anno.

Diventato in seguito un vero e proprio mito laico, un martire dei "giusti ideali", Guevara ha indubbiamente rappresentato per i giovani della sinistra europea (e non solo) un simbolo dell’impegno politico rivoluzionario, talvolta svilito a semplice gadget o icona da stampare sulle magliette.



(Articolo tratto da http://tesionline.corriere.it/)

domenica 8 giugno 2003

"Perché a te il passaporto?"

 "Come si fa a vivere in un posto dove c'è un solo giornale e un solo partito?" mi dice a voce bassa una giovane dottoressa passeggiando sulla spiaggia di Guanabo "E dove la televisione trasmette solo salsa e i discorsi del Leader Maximo? Come si fa a mettere in carcere 78 intellettuali colpevoli solo di cercare un'apertura, uno spiraglio? E fucilare tre persone solo perché cercano di scappare? Ma perché tutti vogliamo scappare da Cuba? Per te è facile espatriare, basta chiedere un passaporto. Per me resta un sogno proibito. Anche se avessi i soldi per il biglietto non mi darebbero il permesso, perché la mia specializzazione è considerata "strategica". Il mio capo è stato invitato dall'Ospedale di Careggi a un corso di altissima specializzazione, con una borsa di studio pagata dall'italia. A sua moglie, pure medico, non hanno dato il permesso, perché non avevano figli da lasciare qui. Non gliel'hanno mica negato ufficialmente. Qui a Cuba c'è tutto un modo obliquo di perdere le carte, di far ritardare i permessi. Fatto sta che a due coniugi non danno mai contemporaneamente il permesso di espatrio, se non hanno figli da lasciare in ostaggio.

Io non vorrei mai lasciare Cuba per sempre. Ma qui ti viene la claustrofobia. Capisci perché c'è tutta questa corsa a sposare lo straniero, anche se è vecchio e brutto? Qualsiasi cosa pur di andarsene.

E poi cosa credi, che a Cuba non ci sia razzismo? C'è, c'è. La vedi questa pelle nera? Non hai idea di quante umiliazioni mi costi." 


Preso per par condicio da: : http://kubakuba.splinder.it/  
Postato da Aless e Lux

venerdì 6 giugno 2003

Matrix e divagazioni sul tema


Non so ancora cosa pensare di Matrix. Sta diventando una forma di culto, come Star Trek, come Star Wars, come XFiles. Personalmente, nel genere fantascienza & simili, amo "StarGate" (il film, ma anche la trasmissione che purtroppo sta cambiando i connotati dopo la dipartita di Giacobbo), "Spazio 1999", anche se è preistoria, “Odissea nello Spazio”, “Solaris” (il primo, quello di Tarkovskij, il secondo non l’ho visto, ma provvederò in estate, in qualche cinema all’aperto, perché Clooney non si può perdere, anche se, per quanto ho sentito, il film non regge il confronto con il primo) e più di tutti “Contact”. 
Matrix (soprattutto il primo, perché era una novità) lo ritengo eccezionale per le scene e gli effetti speciali. Al contenuto ci devo ancora pensare. Non è un po’ ridicola la scena in cui Neo esce dall'ascensore e si trova di fronte la moltitudine con i doni, come se fosse veramente il Messia? Quella di Morpheus che parla al popolo è trascinante, ma non fa anche presagire il futuro dittatore? E l'architetto (il supercomputer che ha creato Matrix e anche Zion, l’Oracolo e tutto quanto), non ci aveva già pensato Borges, o forse si trattava di Dio che sogna il mondo?


E mi viene in mente anche il Regista, il Creatore, nel film, uscito qualche anno fa sulla realtà virtuale: un individuo crede di vivere una vita reale e invece è l’unico interprete inconsapevole di una specie di “grande fratello”, tutti gli altri sono attori, finché non ha qualche sospetto, o qualcuno lo mette sull’avviso, e infine capisce e riesce ad arrivare al Regista, al Creatore. In questo momento non riesco a ricordare il titolo, e nemmeno come finisce il film: qualcuno me lo dica, altrimenti ci penserò per giorni (nel tempo libero ovviamente, che non è molto). Non so nemmeno con quali termini cercarlo su Internet. Magari domani mi viene in mente, ma ora ho proprio il vuoto assoluto, eppure a suo tempo il film fu molto commentato, come adesso Matrix.

Ho letto di recente il libro di un fisico teorico, Michio Kaku, dal titolo “Iperspazio” ove si contemplano universi paralleli, cunicoli spazio-temporali, distorsioni del tempo, decima dimensione (il tutto vagamente comprensibile, ma non troppo) e infine si richiama un racconto di Asimov “The last Question” costruito intorno ad una macchina, l’A.C. (computer analogico) e alla domanda: anche l’universo deve finire?



Nel racconto la storia comincia nel 2061 anno in cui un colossale computer (AC) ha risolto ogni problema energetico sulla terra ed è così grande ed avanzato che i suoi tecnici hanno solo una vaga idea del modo in cui opera. Due tecnici ubriachi, per scommessa, chiedono al computer se la morte definitiva del Sole possa essere evitata e se, tra l’altro, anche l’universo sia destinato a morte certa ed il computer risponde: “dati insufficienti: non posso fornire una risposta significativa”. La stessa risposta il computer la fornisce secoli dopo quando gli essere umani hanno già colonizzato diversi sistemi solari e l’AC è talmente grande che occupa centinaia di chilometri quadrati su ogni pianeta, ed è talmente complesso che si mantiene in funzione da solo. E ancora la stessa risposta migliaia di anni dopo, quando la galassia è stata completamente colonizzata e l’A.C. ha risolto il problema della mortalità ed è talmente complesso che gli uomini hanno rinunciato a capire come funzioni, e milioni di anni dopo, quando l’umanità ha raggiunto e colonizzato innumerevoli galassie in tutto l’universo e l’A.C. ha risolto il problema di liberare la mente dal corpo, ma si sente ancora domandare se è possibile invertire il corso dell’entropia. E così ancora miliardi di anni dopo, quando l’umanità è rappresentata da miliardi di miliardi di miliardi di esseri immortali e la mente collettiva dell’umanità, che è libera di vagare ovunque voglia, si fonde in un'unica mente che a sua volta si fonde nella mente dell’A.C. Infine dopo un altro enorme lasso di tempo, quando l’universo si trova davvero in punto di morte, l’A.C. trova una soluzione, ma ormai non c’è più nessuno ad ascoltarlo. A questo punto formula un nuovo programma e poi comincia il processo di inversione del caos assoluto. Raccoglie il freddo interstellare, unisce le stelle morte fino a produrre una gigantesca sfera e poi, una volta compiuta l’opera, dall’iperspazio l’A.C. tuona: “E sia la luce”. E la luce fu!”

Stasera ho divagato davvero dai temi abituali di questo blog e temo che non mi commenterà nessuno. Già non lo ha fatto quasi nessuno quando ho parlato di Pubblica Amministrazione e nemmeno quando ho parlato di Internet e del fenomeno “Blog”. Per la P.A. c’è forse una causa precisa (politica), secondo un commentatore.

Ad ogni modo domani, o quando potrò, ritornerò a parlare di Europa dopo il recente G8, che credo meriti un “post”.


Per gli argomenti trattati stasera del resto ho già  un sito,“Avalon e dintorni”, ma potrei realizzare anche un apposito “blog”. Ho visto che i più famosi “blogger” ne stanno aprendo diversi, su Virgilio, su Clarence, e su tutti gli altri siti che forniscono il servizio. Anch’io ne ho uno su Clarence, però mi trovo meglio su Splinder, e quindi, se ne aprirò un altro, lo farò ancora su Splinder (o sarà meglio provare con Virgilio?). Ma guarda un po’ che problemi uno si deve creare, non bastassero quelli reali!


A quando un’ associazione, a almeno un gruppo di “self help” , tipo “Bloggisti anonimi”?

E quanto ai blog, fenomeno effimero o rivoluzione, come l’invenzione dell’alfabeto, della stampa, del cinema, della radio e della televisione? E che ci aspetta nel futuro?

Io comunque vorrei sapere che fine ha fatto l’”e-book”. E non intendo la possibilità di leggere libri “on line”, troppo scomoda per avere un futuro, quanto a stamparli, non ha senso, si spende meno a comprarli, ma appunto un minicomputer con il quale si possa accedere a tutto lo scibile stando comodamente sdraiati sul divano.

giovedì 5 giugno 2003

MATRIX -Test



Ho scoperto su "Brodo Primordiale"  questo test per vedere che personaggio di Matrix sarei.
Questo è il risultato:






You are Morpheus, from "The Matrix." You have strong faith in yourself and those around you. A true leader, you are relentless in your persuit. 

Magari, non l'avrei mai creduto.


brought to you by Quizilla

mercoledì 4 giugno 2003

Pubblica Amministrazione - Quali soluzioni?

In questi anni si è parlato molto di riforma della pubblica amministrazione, semplificazione, efficienza, efficacia, razionalizzazione, ecc. ecc. E sono state approvate anche delle buone leggi, sul procedimento amministrativo, sulla documentazione amministrativa, sull’ordinamento degli enti locali.

Ma purtroppo la mentalità di chi lavora nella pubblica amministrazione, salvo le solite eccezioni, non è affatto cambiata, e ciò non può avvenire per imposizione di legge. Ma come allora?

Sono dirigente di servizio in un ente locale e tutti i giorni mi trovo di fronte ai soliti problemi, irresolubili credo.

Il personale non ha assolutamente il concetto dell’appartenenza, tanto meno quello della responsabilità, le innovazioni fanno paura, l’informatica è misconosciuta. Si continua a fare quello che si è sempre fatto, perché così è sempre stato. Vecchie ruggini tra colleghi, contrasti tra un ufficio e l’altro, piccoli privilegi difesi con una determinazione degna di miglior causa, completano il quadro. Per non dire delle problematiche personali che già guastano il clima alle 8.00 di mattina, quando qualcuno arriva con la luna storta per motivi suoi,  dei contrasti per le ferie che si pretende ancora di godere per un mese intero (ma mi domando poi chi si può permettere di star fuori un mese), dei turni per il cesso e la colazione che bisogna organizzare pure quelli, perché non se li sanno gestire da soli, delle lamentele continue per il troppo stress, tanto che sembra che il sudore scenda a rivoli da sotto le sedie, anche se io non l’ho mai visto, anzi mi è capitato più facilmente  di scorgere sguardi perduti al soffitto, alla finestra, non si sa dove, subito gettati su una pratica se mi trovo a passare per caso nelle vicinanze dell’oberato di turno.

Ma non sarà mica colpa mia? Forse dovrei imparare  ad utilizzare il pensiero laterale. Ieri mi è capitato di leggere su “La Repubblica” un articolo su Edward De Bono, psicologo e medico maltese, teorico della creatività, di cui ignoravo completamente l’esistenza. Il suddetto, ad un certo punto della sua carriera, si è domandato come mai alcune persone hanno idee nuove, inventano cose, tirano fuori concetti che costringono a voltare pagina, mentre altri, magari altrettanto o più intelligenti, continuano a percorrere strade note e non voltano mai pagina? E  ha trovato una soluzione nel pensiero laterale. La nostra tradizione di pensiero, dice De Bono, discende dalla “gang” dei tre, cioè Socrate, Platone e Aristotele e si basa sulla logica, ma per trovare una soluzione ai problemi, invece di concentrarsi sulla sequenza ordinaria e rimanerne prigionieri, occorre cambiare prospettiva, guardare dall’altra parte: il lateralismo rovescia la situazione. Non ho capito molto bene. E nella mia situazione cosa dovrei rovesciare, a parte forse qualcuno? Avrei bisogno di un “coach”, una specie di allenatore della mente molto di moda in America e sembra in arrivo, come al solito, anche in Europa (se ne è parlato di recente anche su “Il Sole 24 ore”).


Sono reali i risultati del censimento della popolazione?

Ieri su “La Repubblica” mi è capitato di leggere un articolo dal titolo “Ma quanti sono gli Italiani?” che commentava i risultati del censimento generale della popolazione, da poco resi pubblici, che hanno fissato in circa 57 milioni (per l’esattezza 56,996 milioni) la popolazione residente in Italia (cioè dimorante abitualmente negli 8101 Comuni del Paese) alla data del 21.10.2001, cioè appena 200.000 in più rispetto ai dati del precedente censimento del 1991. Questa è la cosiddetta “popolazione legale”, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale, in base alla quale si formano le circoscrizioni elettorali, si assegnano i seggi nelle varie consultazioni elettorali politiche e amministrative, e costituisce in sintesi una sorta di “catasto” demografico dal quale discendono diritti e doveri politici e sociali e prerogative locali.


L’articolo rivelava altresì che alla vigilia del censimento gli iscritti nelle anagrafi dei Comuni italiani erano 57,953 milioni, cioè un milione in più dei residenti verificati dalle operazioni censuarie, e concludeva che le anagrafi funzionano male e che il cattivo funzionamento si spiega “nel disinteresse sostanziale dei singoli comuni nel verificare la corrispondenza tra la posizione di iscritto in anagrafe e l’effettiva dimora dei cittadini. Disinteresse che ha molte cause: difficoltà amministrative (specie nei grandi comuni), motivi elettorali, economici, di prestigio. Ma causa prima è l’arretratezza: in un mondo dove anche i bambini fanno giochi di prestigio con il computer, quasi 500 anagrafi comunali lavorano ancora in cartaceo e il progetto SAIA – che si propone l’informatizzazione delle anagrafi e la loro interattività – …….batte la fiacca”.

Posso raccontare in proposito la mia esperienza in quanto dirigente dei Servizi Demografici del mio Comune e responsabile dell’Ufficio Comunale di Censimento durante i censimenti generali 2001.

Non c’è dubbio che il numero degli iscritti nell’anagrafe del mio Comune alla data del 20.10.2001, vigilia del censimento, poco più di 88.000, fosse errato per eccesso, anche perché ai precedenti censimenti del 1981 e del 1991 non seguì la prevista revisione anagrafica, ma sono anche certa che, al contrario, i risultati del censimento che hanno indicato in poco più che 84.000 i dimoranti abituali  alla data del 21.10.2001 siano errati per difetto.

Infatti le operazioni di rilevazione sul territorio sono state svolte da 125 incaricati quasi tutti esterni, ragazzi molto spesso alla prima esperienza lavorativa, ma già ampiamente sindacalizzati, e tanto consapevoli dei propri diritti, quanto poco dei relativi doveri. In ufficio avevamo 13 coordinatori, tutti esterni, più sindacalizzati che mai. L’Amministrazione ha ritenuto che l’Ufficio di Censimento dovesse essere ridotto all’osso, con solo 4 addetti interni, poi ridottisi a due, che, devo dire, hanno lavorato bene, coadiuvati da un po’ di personale a straordinario.

Il lavoro preparatorio sulle Basi Territoriali (sezioni di censimento, aree di circolazione, numeri civici), che avrebbe dovuto essere approntato almeno l’anno prima, è stato realizzato in 20 giorni, quando, dopo l’ennesima lettera della sottoscritta, l’Amministrazione si è decisa finalmente a nominare il responsabile tecnico. Nel nostro Comune peraltro non esiste un Servizio Informatico Territoriale, se non sulla carta, molte aree di circolazione fuori dai centri urbani sono un po’ vaghe e la numerazione interna in larga parte non esiste. Pertanto devo riconoscere che i rilevatori, al di là delle deficienze proprie, hanno incontrato anche delle difficoltà esterne di un certo rilievo.

I coordinatori hanno passato buona parte del tempo a discutere dello scarso compenso, e sono d’accordo che era scarso, ma i suddetti avevano comunque firmato un contratto, e la sottoscritta si è trovata a rivestire il ruolo dell’affamatrice del popolo e l’assessore di riferimento quello del sindacalista. Il 2 gennaio 2002 (ero in ferie) ho ricevuto una telefonata a casa dal dirigente dell’Area di riferimento, perché rilevatori e coordinatori, di cui peraltro qualcuno non aveva ancora completato l’incarico, avevano protestato per non aver ancora ricevuto un acconto e quindi bisognava provvedere subito, anche se normalmente tra la fine dell’anno e l’inizio del nuovo la ragioneria blocca i pagamenti (diversi Comuni hanno pagato dopo mesi, ma noi in questo siamo stati tra i più celeri).

Personalmente per questo incarico, che si aggiungeva alle mie normali funzioni di dirigente di servizio (ho lavorato quasi tutti i pomeriggi e talvolta anche la sera per 11 mesi), ho ricevuto complessivamente, e dopo diversi mesi dalla conclusione dell’incarico, un compenso € 3000 scarsi (lordi), di cui 1000 dal contributo ISTAT e 2000 dall’Amministrazione, quale indennità di risultato. Il mio omologo del 1991 aveva incassato £.40.000.000 circa (lordi), però mi è stato detto che si trattava di altri tempi (o di altra persona?).

Per quanto poi riguarda la procedura informatica di gestione del censimento, il servizio elaborazione dati fece presente l’impossibilità di provvedere per motivi di organizzazione interna, e consigliò di conferire un incarico esterno di consulenza e di acquistare una procedura “ad hoc”, considerato altresì che il software approntato dall’ ISTAT tardava ad arrivare e comunque avrebbe richiesto 13 licenze ACCESS, una per ogni computer assegnato ai coordinatori, o almeno così mi è stato detto, che l’amministrazione non riteneva di dover comprare. Così fu acquistato un “software” per la relativamente modica cifra di € 8.500, ma il collegamento con la procedura anagrafica non è  stato possibile attivarlo, cosicché non è stato possibile procedere all’allineamento tra i dati del censimento e quelli anagrafici, né durante le operazioni censuarie, né dopo. Infatti solo con metodi assolutamente artigianali è stato possibile procedere ad una revisione molto parziale  e pertanto i dati anagrafici e quelli dell’ISTAT continueranno a divergere.

Credo tuttavia che anche l’ISTAT dovrà ripensare il sistema dei censimenti o per lo meno le modalità del loro svolgimento.

domenica 1 giugno 2003

SENZA ALCUN RITEGNO

Nel post di ieri sul falso dossier britannico sull'Iraq avevo riportato la dichiarazione di Donald Rumsfeld a proposito delle armi di distruzione di massa di Saddam Hussein e cioè che "non si troveranno perché forse Saddam le ha distrutte prima del conflitto”.

Mi erano sfuggite tuttavia le rivelazioni di Paul Wolfowitz, il numero due del Pentagono, a "Vanity Fair": "Abbiamo insistito sulle armi di distruzione di massa per motivi burocratici. Era il solo argomento su cui tutti potevano essere d'accordo con noi" ma il motivo vero era che "il rovesciamento di Saddam Hussein avrebbe permesso agli americani di ridurre il peso della presenza in Arabia Saudita."

Queste rivelazioni non hanno sorpreso nessuno in Europa, in quanto erano le cose che gli oppositori della guerra avevano sempre detto. Hanno tuttavia suscitato i commenti indignati dei giornali europei, ma anche del "New York Times" e del "Los Angeles Times" per l'impudenza, la mancanza di qualsiasi ritegno e dunque la solita arroganza della destra americana.


Un giornalista del Guardian ha intervistato il "blogger" iracheno SALAM PAX

Vi ricordate di Salam Pax, il protagonista del "blogger" iracheno "Dear Read", che si è conquistato notorietà raccontando la vita di tutti i giorni nell'Iraq che si preparava alla guerra?

Un giornalista del Guardian è riuscito a trovarlo e lo ha intervistato. E’ un architetto ventinovenne laureato a Vienna e tornato a Bagdad nel '96.

Tutto è cominciato per caso un anno fa, racconta Salam, quando un irregolare scambio di messaggi via e-mail con un amico giordano palestinese di nome Raed si è trasformato in un "blog", dal titolo DEAR Read (Caro Read, ma in inglese è un palindromo e ciò aveva aumentato i sospetti sull'origine reale del blog).

Il Mukhabarat (servizio segreto iracheno) aveva più volte tentato di oscurarlo e di individuarlo, senza riuscirci, e qualcuno aveva accusato Salam di essere un agente della CIA. Si sospettava comunque da più parti che l'autore non fosse iracheno per i frequenti riferimenti alla musica e al cinema americano ritenuti estranei alla cultura irachena.

Il “blog” ha trasmesso anche nei primi giorni di guerra fino a quando c'è stata la corrente elettrica e ha ripreso dopo la fine del regime.

Il giovane architetto, rischiando notevolmente, non ha risparmiato critiche al regime. Al contempo si dichiarava contrario alla guerra e tuttora non lesina critiche alla gestione anglo-americana, ma auspica che la ricostruzione avvenga al più presto e intanto continua a scrivere in una camera piena di cavi, monitor, dischi, giornali e il poster di Matrix. Ora il Guardian gli ha offerto una collaborazione. 

Internet libera fa paura?

Internet è un mezzo grandioso, libero, democratico, gratuito, con il quale chiunque può diffondere opinioni e notizie, fare quindi del giornalismo, anche se di mestiere fa tutt'altra cosa e senza alcun condizionamento derivante dai rapporti tra editoria e potere economico. Proprio per questo è reale il rischio che intervengano restrizioni, perché i poteri, politici ed economici, anche quelli che si definiscono difensori della libertà e della democrazia, temono la vera libertà.

Certo è anche un mezzo con il quale si diffonde tanto superfluo, da cui, peraltro, non sono immuni nemmeno la carta stampata e gli altri “media".

Dall’ottimo e piacevole articolo di Riccardo Orioles che potete leggere per intero su “The Gnueconomy" , nella rubrica "Tanto per abbaiare":


"L'internet è libero, e fa paura. Scrivere su un sito costa appena un po' di più che scrivere sui muri ma è infinitamente più efficace. I padroni del mondo, quando è stata inventata la scrittura, debbono aver provato un panico molto simile a quello dei padroni di ora, di fronte a un mezzo alla portata di tutti, di tutti i cervelli e di tutte le verità. Chissà quanti hacker saranno finiti nelle miniere di sale, a quel tempo, per uso abusivo dell'alfabeto."

"In Italia tutta l'informazione è ormai concentrata nelle mani di una mezza dozzina di proprietari, non di più. Molte notizie escono assai sbiadite, o non escono affatto. E non è solo Berlusconi a censurare ma anche CaraccioloRomitiCaltagirone,CiancioAgnelli. Periodicamente, campagne "d'opinione" mirate vengono lanciate a freddo per conseguire questo o quell'obbiettivo politico o industriale: "domani piove"può significare semplicemente che la proprietà del giornale produce d'ombrelli."

"Dieci anni fa, questa rubrica non sarebbe potuta uscire: non avrei avuto i soldi, semplicemente, per fare un giornale da solo. Sarei stato non solo personalmente emarginato (il che riguarda me) ma proprio costretto al silenzio: il che riguarda voi, perché una notizia o un'opinione in meno impoveriscono tutti. Con l'internet invece posso parlare..…tecnicamente posso far viaggiare opinioni e notizie in un ambito sufficientemente esteso da essere utilizzabili dai lettori. Posso fare giornalismo, insomma."